La determinazione del valore della domanda ai fini della liquidazione del compenso dell’avvocato. Uno dei punti controversi in materia di liquidazione del compenso dell’avvocato concerne la determinazione del valore della domanda da considerare ai fini dell’applicazione delle tariffe forensi. Un avvocato, dopo aver prestato attività giudiziale in favore di più soggetti in quattro procedimenti, non ricevendo il pagamento del compenso, proponeva ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale. Uno dei clienti formulava opposizione nelle forme di cui all’art.14 del decreto legislativo n.150 del 2011. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione riducendo il compenso richiesto dall’avvocato Il Giudice, pur riconoscendo l’avvenuta prestazione professionale complessiva per i quattro giudizi, accoglieva le contestazioni sul quantum sollevate dal cliente affermando che, ai sensi dell’art.5 del decreto ministeriale n.55 del 2014, il valore della causa si determina in base al decisum e non al disputatum e, poiché, a seguito di c.t.u., era stato accertato il valore del bene oggetto di causa in misura inferiore rispetto a quella della domanda, le somme richieste venivano ridotte applicando lo scaglione inferiore rispetto a quello utilizzato dall’avvocato. Era stata disposta, altresì, la riduzione del compenso con riferimento alle maggiori somme liquidate per la pluralità di parti e conseguente aumento del venti per cento per ciascuna di esse, pur prevedendo l’art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014, che “Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti”. Il Tribunale, quindi, emanava ordinanza con cui revocava il decreto ingiuntivo condannando il cliente al pagamento del compenso in misura ridotta. L’avvocato era costretto a ricorrere per Cassazione. La duplice questione sottoposta all’esame della Corte è se, ai fini della liquidazione dei compensi dell’avvocato, si debba fare riferimento al valore della controversia secondo la domanda giudiziale (c.d. disputatum) o a quello determinato dal provvedimento del giudice (c.d. decisum), nonché quando ed in che misura spetta la maggiorazione nel caso di assistenza in giudizio di una pluralità di parti. L’art. 5 (“Determinazione del valore della controversia”), comma 2, del d.m. n. 55 del 2014, dispone che “Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti”. La Cassazione ha ripetutamente affermato che, in tema di compensi professionali forensi da liquidare a carico del cliente, deve farsi riferimento al valore effettivo della controversia quando esso risulti manifestamente diverso da quello derivante dall’applicazione degli articoli 10 e seguenti del codice di procedura civile (valore della domanda), e tale criterio impone al giudice di merito di verificare in concreto l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare in relazione alle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se, al fine di determinare le competenze dovute al legale, l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata, in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata, stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta (Cass. Sez. 2, 13/03/2023, n. 7224; Cass. Sez. 2, 23/11/2022, n. 34523; Cass. Sez. 2, 12/07/2018, n. 18507; Cass. Sez. 2, 31/05/2010, n. 13229; Cass. Sez. 2, 08/02/2012, n. 1805). Nella fattispecie esaminata, il giudice di merito non si è attenuto al principio della giurisprudenza di legittimità in quanto ha perentoriamente accordato preferenza al principio del decisum senza compiere la necessaria preventiva indagine sull’effettiva attività svolta dal legale che avrebbe dovuto indurre il Tribunale a adottare il criterio del disputatum o quello del decisum. Il Tribunale, inoltre, non ha accordato il maggior compenso spettante all’avvocato che aveva difeso in giudizio più soggetti errando nella applicazione del comma 2 dell’art.4 del d.m. n.55 del 2013 che, utilizzando espressamente il verbo “può”, accorda al giudice la facoltà di procedere all’aumento del compenso e che, al contempo, impone l’onere di motivare sia che opti per riconoscere l’aumento sia in caso contrario (Cass. Ordinanza n. 461 del 14/01/2020). Il principio che ne deriva, è che il Giudice non può liquidare il compenso sulla base del valore del decisum, se non dopo aver eseguito la indagine diretta a stabilire la congruità del compenso richiesto; né può omettere di riconoscere all’avvocato l’aumento del compenso, nella misura del 20 per cento, per ciascuna parte oltre la prima il verbo “può” accorda al giudice la facoltà di procedere all’aumento del compenso e che, al contempo, gli impone l’onere di motivare sia che opti per riconoscere l’aumento sia in caso contrario (Cass. Ordinanza n. 461 del 14/01/2020). Per tale motivo, la Cassazione Sez. II con ordinanza n.376 del 05.01.2024, rilevato che il giudice di primo grado non ha verificato preventivamente la congruità del compenso alla luce del «principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata», quale si desume dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati (Cass. Sez. UU., n. 19014/2007), ha accolto il ricorso, cassato la ordinanza impugnata e rinviato al giudice di primo grado, in diversa composizione, ai fini dell’accertamento di cui innanzi. Trani, 13.01.2024 Avv. Alessandro Moscatelli