Alcuni punti controversi del diritto condominiale. La complessità della casistica condominiale comporta per gli operatori della materia situazioni di incertezza in cui singoli istituti o rapporti trovano sovente interpretazioni diverse da parte della giurisprudenza e, addirittura, nelle norme che si succedono anche nell’ambito della legislazione di emergenza o di settore. In questa relazione parlerò di alcune fattispecie controverse che appunto rispecchiano tali situazioni di contrasto. 1. Il fondo cassa morosi. Con riguardo alla possibilità di istituire un fondo cassa per le morosità, in passato, la giurisprudenza di legittimità si era espressa nel senso che “In mancanza di una delibera unanime dell’assemblea la ripartizione delle spese condominiali deve avvenire solo “secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’art.1123 C.C.” e, dunque, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi” (Cass.n.13631/2001). Secondo il principio surrichiamato, in mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità, espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità fissati nell'art. 1123 c.c., e, pertanto, non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi. Che poi non si possa richiedere ai condomini di versare somme importanti senza destinazione viene chiarito dalla lettura dell'art. 1135 n. 4 co C.C., ove si parla della costituzione di "fondi" - qualcosa di più di semplici "residui" - ma si dice anche, specificamente, che questi debbono essere finalizzati ad opere di straordinaria manutenzione. La giurisprudenza di merito aveva chiarito che delibere assembleari che approvino l’istituzione di un fondo cassa morosi sarebbero viziate da annullabilità, perché si tratta di materia disponibile, nulla vietando ai condomini di fornire con dovizia l'amministratore di danaro con libertà di utilizzo, ma ciò potrà farsi solo con il consenso di tutti o se tutti si rimettono alla delibera della maggioranza. (Trib. Milano Sez. XIII, Sent., 05-02-2013; Tribunale Milano 29.9.2005). Alcune decisioni a riguardo prevedevano che, nell'ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre "aliunde" somme - come nel caso di aggressione "in executivis" da parte di creditore del condominio, in danno di parti comuni dell'edificio - può ritenersi consentita una deliberazione assembleare, la quale tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo - cassa "ad hoc", tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva; conseguentemente sorge in capo al condominio e non ai singoli condomini morosi l'obbligazione di restituire ai condomini solventi le somme a tale titolo percepite, dopo aver identificato gli insolventi e recuperato dagli stessi quanto dovuto per le quote insolute e per i maggiori oneri. (Cass. civ. Sez. II, 15/11/2001, n. 13631; Cass. civ. Sez. II, 18/04/2014, n. 9083). Queste decisioni sono state superate dall’introduzione del principio di parziarietà delle obbligazioni (Cass. SS.UU. 9148/2008) in virtù del quale ad essere aggrediti da un’eventuale azione esecutiva sono i condomini morosi e non i solventi. La giurisprudenza di merito più recente, però, ha mutato orientamento ed ha anche previsto la possibilità di una delibera a maggioranza per la approvazione di un fondo speciale per le morosità ma solo sulla base della dimostrazione effettiva della situazione di cassa del condominio (Tribunale di Belluno n.176/2016, Corte di Appello di Catanzaro 24.11.2020 n.1542, Tribunale di Roma 03.09.2020, Tribunale di Brescia 25.02.2020 n.430). E’ necessaria una delibera da adottare a maggioranza ex art.1136 co.2 C.C., non essendo sufficiente la sola maggioranza degli intervenuti in assemblea. 2. Il rendiconto ai tempi della pandemia. Ai sensi dell’articolo 1130, comma 1, n. 10 del Codice civile l’amministratore deve “redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni” dalla chiusura dell’esercizio. Durante il periodo di lockdown provocato dalla pandemia di Covid19, in presenza dello stato di emergenza sanitaria, il termine dei 180 giorni è stato sospeso, ai sensi dell’articolo 63 bis del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia” (convertito in legge n. 126 del 14 ottobre 2020). Con decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 70 del 24 marzo 2022), coordinato con la legge di conversione 19 maggio 2022, n. 52, è stata dichiarata la cessazione dello stato di emergenza al 31.03.2022. La sospensione del termine di convocazione dell’assemblea condominiale (rectius del termine di presentazione) del rendiconto previsto e più volte prorogato dalla normativa emergenziale si riferiva soltanto ai rendiconti relativi alle successive annualità dall’entrata in vigore della norma. L’inosservanza della rendicontazione (articolo 1129, comma 11 del codice civile) e l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto (articolo 1129, comma 11, n. 1 del codice civile) sono considerate, infatti, “gravi irregolarità” e possono essere motivi di revoca disposta dall’autorità giudiziaria su ricorso di ciascun condomino. E’ stata consentita la deroga sia del termine di presentazione del rendiconto che di quello della convocazione dell’assemblea ordinaria. Va, però evidenziato che il giudice ha revocato quell’amministratore che non ha presentato il rendiconto relativo all’anno 2018, la cui scadenza ultima (180 gg) era fissata entro il giugno 2019, ossia prima dell’entrata in vigore della legislazione dell’emergenza (Tribunale Palermo decreto del 14/01/2022). Per la rendicontazione relativa alla gestione 2019, i 180 giorni erano già decorsi prima dell’entrata in vigore dell’articolo citato anche se, non si può non tener conto del fatto che, nel corso di tale semestre la pandemia, era già diffusa e sussistevano incertezze sulla possibilità di convocare le assemblee. A rigore, comunque, la sospensione dovrebbe riguardare il decorrere dei termini per la redazione e per la convocazione dell’assemblea ma non la redazione e la convocazione che sono atti dovuti da parte dell’amministratore. Fin dall’inizio della pandemia, nessun provvedimento governativo aveva vietato le assemblee in presenza anche se era raccomandato di non convocarle, salvo fossero necessarie ed urgenti, nel qual caso occorreva rispettare le disposizioni in materia di distanziamento sociale e uso dei dispositivi di protezione individuale. In ogni caso il modo preferibile per svolgere le assemblee di condominio era in modalità da distanza (riconfermato dal dpcm del 14 gennaio 2021 ed oggi inserita nella disposizione dell’art.66 disp. att. C.C.). L’amministratore, infatti, poteva redigere il rendiconto e inviarlo, con la convocazione di assemblea, ai condomini, liberi di non parteciparvi e di non deliberare. In tal caso, si potevano avere assemblee deserte o non validamente costituite per mancanza di quorum e, conseguentemente, i bilanci non venivano approvati ma, dal punto di vista formale, l’amministratore aveva adempiuto ai propri obblighi a fronte della partecipazione all’assemblea e dell’approvazione dei bilanci che sono atti di esclusiva competenza dell’assemblea. Si rammenta, infine, che le rendicontazioni delle gestioni svolte negli “anni Covid19” non potranno essere “bypassate” o “cumulate” nelle rendicontazioni delle gestioni successive, ma dovranno essere oggetto di specifica elaborazione ed approvazione essendo la rendicontazione annuale. Nelle more della loro approvazione, l’amministratore poteva riscuotere le rate condominiali di ammontare pari a quelle dell’ultimo preventivo di gestione ordinaria approvato (Cassazione., sentenza n. 24299/2008), senza determinare la paralisi della gestione. 3. L’assemblea in videoconferenza. La pandemia da coronavirus, oltre ad aver cambiato le abitudini degli italiani, ha portato anche all’introduzione di modifiche legislative nel nostro ordinamento. In ambito condominiale, la legge ora prevede espressamente che l’assemblea possa svolgersi anche a distanza, cioè in videoconferenza al fine di garantire la partecipazione di soggetti che avrebbero difficoltà a recarsi presso il luogo della riunione. Questa nuova modalità prevede la partecipazione effettiva dei condòmini che, attraverso lo strumento telematico, possono intervenire nella discussione che può svolgersi anche in maniera ordinata attraverso l’ordinata gestione della videoconferenza da parte di un amministratore. Si tratta di capire ora quali sono le modalità di svolgimento della assemblea in videoconferenza e gli aspetti problematici che possono portare anche alla invalidazione del deliberato. Fondamentalmente il principio alla base di questa nuova modalità di assemblea è quello di garantire la partecipazione effettiva e completa di tutti i condomini, nel senso che occorre evitare che eventuali problemi di carattere tecnico, come, ad esempio, la disconnessione per la caduta della linea o le anomalie del microfono o della videocamera, creino limitazioni ai partecipanti. Le disposizioni concernenti l’assemblea in videoconferenza sono state introdotte nel testo dell’art.66 disp. att. C.C., già riformato dalla legge 11.12.2012 n.220 (riforma del condominio). Il soggetto tenuto a convocare l’assemblea di condominio, le forme e le modalità di convocazione rimangono i medesimi. L'art. 63, comma 1-bis, lett. a), decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni, dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126, in vigore dal 14 ottobre 2020, ha aggiunto al terzo comma dell’art.66 disp. att. C.C., che, qualora l’assemblea si svolga in modalità di videoconferenza, deve essere indicata la piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e l'ora della stessa. Mentre l'art. 63, comma 1-bis, lett. a), decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni, dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126, in vigore dal 14 ottobre 2020 e successivamente modificato dall'art. 5-bis decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito con modificazioni in l. 27 novembre 2020, n. 159, in vigore dal 4 dicembre 2020, ha aggiunto il quarto comma all’art.66 disp.att. C.C. che ora prevede che anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all'assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all'amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione. Seppur introdotte le modifiche con la normativa emergenziale, di fatto è stata ammessa nell’ordinamento, in via definitiva, la possibilità dello svolgimento dell’assemblea condominiale in videoconferenza. Inizialmente era previsto che la partecipazione all’assemblea potesse avvenire in modalità di videoconferenza, ove non previsto nel regolamento condominiale, previo consenso di tutti i condomini ma evidentemente ciò rendeva praticamente impossibile l’adozione di tale modalità essendo necessaria l’adozione di una deliberazione alla unanimità; nell’attuale formulazione è necessario il consenso della maggioranza dei partecipanti al condominio. La generica formulazione del riferimento al “previo consenso della maggioranza” lascia dubbi se tale maggioranza debba essere calcolata solo con le “teste” o anche con i valori millesimali. La norma, dettata per la assemblea sia ordinaria che straordinaria, consente che tutte le assemblee possono essere convocate in video conferenza senza alcun vincolo inerente alle materie oggetto delle discussioni. E’ indispensabile che nell’avviso di convocazione venga espressamente indicato che l’assemblea sarà tenuta in modalità telematica con la precisa indicazione del link della piattaforma utilizzata che consenta le modalità di accesso e collegamento, comprese username e password necessarie e tutte le istruzioni relative (ad esempio, la indicazione del download per scaricare il software della piattaforma, se necessario). Tutto deve essere predisposto per garantire a tutti l’effettiva possibilità di partecipare alla riunione a distanza. L’avviso di convocazione segue le forme e le modalità consuete e viene inviato mediante lettera raccomandata, posta elettronica certificata, fax oppure con consegna nelle mani dell’interessato. L'amministratore è tenuto a munirsi del consenso dei condòmini a svolgere l’assemblea in modalità telematica in occasione della convocazione ovvero mediante un’autorizzazione in generale e valida per tutte le assemblee a svolgersi: è importante che il consenso venga, in ogni caso, manifestato per iscritto dai condomini per evitare contestazioni di sorta. Trattandosi di modifiche legislative recentissime, è difficile che nei regolamenti condominiali possa essere prevista la possibilità di svolgere l’assemblea in via telematica ragion per cui sarà determinante il previo consenso della maggioranza dei partecipanti al condominio. Ciò non impedisce che i regolamenti condominiali possano essere modificati per consentire la possibilità di svolgere l’assemblea in videoconferenza ed è, appunto, questa una delle modalità per stabilire in generale questo strumento evitando la necessità del consenso espresso di volta in volta dai condòmini, per ciascuna riunione tenuta online e con partecipazione da remoto. Anche in modalità telematica valgono le stesse regole per lo svolgimento dell’assemblea. Il presidente dovrà assicurarsi che tutti i condomini che partecipano all’assemblea siano regolarmente collegati, controllando la identità di ciascuno anche attraverso il video e verificando, previo appello nominale, il quorum costitutivo necessario a seconda che si tratti di prima o di seconda convocazione. Il presidente, per verificare anche chi arriva o chi abbandona la seduta, dovrà semplicemente verificare la continuità della connessione controllando anche eventuali assenze involontarie per problemi di linea, audio o video. Anche se l’assemblea si svolge da remoto, è indispensabile comunque un luogo fisico in cui sia presente almeno il segretario per redigere il verbale ed anche il presidente per la sottoscrizione. Una volta ammessa la possibilità dell’assemblea in via telematica, nulla vieta che possa svolgersi anche in forma mista, ossia con una parte di condomini riuniti in presenza ed altri collegati online (anzi ciò avviene proprio per esigenze collegate all’emergenza epidemiologica). Il presidente dell'assemblea, poi, è tenuto a dirigere la discussione in modo effettivo anche nelle riunioni tenute online e perciò deve essere in condizione di dare (o togliere) la parola ai partecipanti per garantire una trattazione ordinata e completa degli argomenti posti all’ordine del giorno, scansionando i tempi degli interventi e delle votazioni su ciascun punto di cui è necessaria l’approvazione. Con gli strumenti telematici il suo compito è facilitato dal fatto che è possibile, momento per momento, “governare” la partecipazione e i turni a disposizione di ognuno per parlare ed esporre le sue argomentazioni, attivando o disattivando il canale audio di ogni membro della videoconferenza in base alle circostanze, per evitare sovrapposizioni di voci. Il segretario dell'assemblea, invece, deve redigere il verbale, sotto la direzione del presidente e seguendo le sue indicazioni. La modalità telematica dell’assemblea non impedisce in alcun modo la possibilità che un condomino possa conferire la delega ad altri di partecipare e non all’amministratore. Il verbale dell’assemblea svolta in via telematica deve fornire i nominativi dei partecipanti (di persona o per delega), dei quorum costitutivo e deliberativo, degli argomenti trattati, degli interventi dei condomini, delle assenze iniziali e sopravvenute. Terminata l’assemblea, il verbale viene sottoscritto dal presidente. Può essere apposta anche la firma digitale sul documento (redatto in Word e al termine salvato in Pdf) che verrà trasmesso a tutti i condòmini, con particolare riguardo a quelli assenti, per porli a conoscenza delle decisioni adottate. L’originale dovrà essere sempre conservato nel registro dei verbali. In caso di svolgimento di assemblea in modalità di videoconferenza è necessario trasmettere, a cura dell’amministratore, il verbale a tutti i condòmini e, quindi, anche a quelli che hanno partecipato alla riunione. Sulla assemblea in videoconferenza, il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 13 gennaio 2022, nel regolare le spese processuali secondo soccombenza virtuale in un giudizio di impugnazione di una deliberazione di assemblea condominiale, ha supposto che la delibera in questione fosse “viziata ab origine”, ovvero “annullabile”, giacché l’assemblea si era svolta “in telematico” il 5 giugno 2020, quando non era entrata ancora vigente la riformulazione dell’art. 66 disp. att. codice civile, affermando che “la possibilità di svolgere le assemblee condominiali mediante piattaforme telematiche è stata introdotta soltanto con il D.L. 14 agosto 2020 n. 104, poi modificato dal D.L 7 ottobre 2020 n. 125 convertito nella L. 27 novembre 2020, n. 159. In precedenza, il legislatore dell’emergenza aveva unicamente previsto la proroga del mandato dell’amministratore e lo slittamento dei termini per la presentazione dei rendiconti”. 4. La mediazione obbligatoria in materia condominiale. 1) Il dies ad quem del termine di decadenza della delibera assembleare condominiale nella mediazione obbligatoria. Per l’impugnazione della delibera condominiale l’art.1137 co.2 C.C. fissa il termine perentorio di trenta giorni. In questo caso è prevista l’obbligatorietà del procedimento di mediazione che, quindi, è condizione di procedibilità rispetto all’azione giudiziaria. E’ tempestiva l’impugnazione introdotta con atto di citazione in un giudizio ordinario di cognizione se notificata entro il termine di trenta giorni. Introducendo, invece, il procedimento di mediazione, qual è il momento che bisogna considerare per evitare che maturi la decadenza dall’impugnazione con la scadenza dei trenta giorni previsti? In una fattispecie un condomino ha impugnato la delibera assembleare provvedendo a depositare presso l’organismo di mediazione, il trentesimo giorno dalla data di avvenuta comunicazione del verbale assembleare, l’istanza di mediazione che è stata poi comunicata al condominio dopo altri 16 giorni. Il Tribunale di Savona con sentenza 02.03.2017 ha ritenuto che gli effetti impeditivi della decadenza sono collegati alla comunicazione della domanda di mediazione alle parti, e non già al mero deposito della domanda di mediazione presso l’organismo prescelto. Ciò tanto è vero che, attese le conseguenze così pregnanti per la parte proponente la procedura di conciliazione, l’art. 5 comma 6 del d.lgs.28/2010, prevede che la domanda di mediazione possa essere comunicata direttamente alla controparte “anche a cura della parte istante”, onde evitare che lo stesso possa essere pregiudicato da tempistiche proprie dell’ente di mediazione. Il Giudice dunque ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta con condanna alla rifusione in favore del Condominio convenuto delle spese del giudizio. La sentenza del Tribunale di Savona ribadisce e conferma quanto già era stato affermato dal Tribunale di Palermo con sentenza n. 4951 del 18.09.2015 Il principio ormai consolidato è che “il solo deposito dell’istanza di mediazione non produce effetti interruttivi della prescrizione o della decadenza della domanda giudiziale”. Ma di recente è stato affermato che la decadenza dal potere di impugnativa della delibera assembleare condominiale è utilmente impedita dal deposito, nel rispetto del termine ex art. 1137 c.c., presso il competente organismo, della domanda di mediazione ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e non già dalla sua successiva comunicazione alle altre parti (Corte di Appello di Brescia Sez.II 30.07.2018 n.1337 in Condominioelocazione.it 15.04.2019). Un altro contrasto è sorto in merito agli effetti del termine di trenta giorni per impugnare la delibera condominiale ex art.1137 C.C.. Trattasi di effetto interruttivo o di effetto sospensivo? L’introduzione del procedimento di mediazione mediante comunicazione dell’istanza al condominio interrompe o sospende il termine di decadenza? Terminato con esito negativo il procedimento di mediazione, se si intraprende il giudizio, il termine decorre nuovamente per intero (effetto 9 interruttivo) ovvero riprende solo per gli ulteriori giorni mancanti fino al trentesimo (effetto sospensivo)? La questione era stata affrontata e risolta inizialmente dal Tribunale di Palermo con sentenza 19 settembre 2015 n 4951 nella quale si affermava che il procedimento di mediazione sospendeva e non interrompeva il termine decadenziale di cui all'art. 1137 C.C.. Ma tale pronuncia inizia ad essere un'isolata presa di posizione, stanti i vari successivi pronunciamenti in senso differente. Il Giudice del Tribunale di Palermo aveva osservato che l’art. 5 del D.lgs. 28/2010 non richiamasse espressamente l’art. 2943 comma 2 C.C. e, conseguentemente, non considerasse gli effetti interruttivi del termine per l’impugnazione della delibera condominiale soggetto, pertanto, a mera sospensione. A favore della tesi che vede nella proposizione della istanza di mediazione il verificarsi di un effetto interruttivo del termine ex art. 1137 CC, si è invece schierato espressamente il Tribunale di Milano con la sentenza n. 13360 del 02.02.2016, segnalandosi che sono attestati sulle stesse conclusioni altri Tribunali, come ad esempio quello di Firenze e quello di Monza, con la pronuncia del 12/01/2016. Il Tribunale di Milano ha chiarito che la domanda di mediazione non sospende, ma interrompe i termini per agire. Di recente, la giurisprudenza ha ribadito che il termine decadenziale di trenta giorni, di cui all'art. 1137, comma 2 c.c., interrotto a seguito della comunicazione di convocazione innanzi all'organismo di mediazione, riprende nuovamente a decorrere, per un ulteriore termine di trenta giorni, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione ai sensi dell’art.5 comma 6 del d.lgs. n.28/2010 (Tribunale di Torre Annunziata Sez.I 03.07.2019 n.1703 in Redazione Giuffrè, 2019, Tribunale di Messina Sez.I 11.01.2018 n.72 in Arch.Locazioni 2018, 2, 191). Caso di specie di dilazione del termine di trenta giorni per il tempo occorrente da parte dell’organismo di mediazione per il deposito del verbale (dopo sedici giorni dalla sottoscrizione). La differenziazione degli effetti è importante. Infatti, se la domanda di mediazione si limitasse solo a sospendere il termine dei 30 giorni per impugnare la decisione dell’assemblea, per impugnare la delibera in tribunale dopo una mediazione fallita, si avrebbe un numero di giorni pari alla differenza tra i trenta giorni previsti dal codice civile e quelli intercorsi fino alla comunicazione dell’istanza di mediazione. Trattandosi di interruzione del termine di 30 giorni, dopo il deposito del verbale negativo della mediazione, si hanno da capo tutti i trenta giorni per depositare la domanda in tribunale (o dal giudice di Pace, a seconda della competenza). Invero, una volta comunicata al condominio la domanda di mediazione, viene così impedita la decadenza “per una sola volta” (sicché non rileverebbe a tal fine un’ipotetica reiterazione strumentale della medesima domanda di mediazione); se poi il tentativo fallisce, la domanda giudiziale di impugnazione della deliberazione assembleare deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza di trenta giorni di cui all’art. 1137, comma 2, c.c., decorrente ex novo e per intero dal deposito del verbale di mancata conciliazione presso la segreteria dell'organismo. Non appare conforme alla ratio e alla lettera dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28/2010, opinare che, ai fini dei 30 giorni di cui all’art. 1137 c.c., la mediazione operi come una causa di “sospensione”, nel senso che, alla cessazione del relativo procedimento, consacrata dal deposito del verbale negativo, il termine di decadenza, temporaneamente neutralizzato, «riprende a decorrere» dal punto di progressione che aveva raggiunto al momento della comunicazione della domanda di mediazione al condominio. La comunicazione di tale domanda di mediazione è stata intesa come evento idoneo a impedire la decadenza da un diritto – segnatamente quello di impugnazione ai sensi dell’art. 1137 c.c. – non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma poiché instaura un rapporto diretto a realizzare un accordo conciliativo: l’inizio della mediazione non vale a sottrarre definitivamente alla decadenza il diritto esercitato nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione sortisca esito negativo, nel qual caso decorre un secondo, e ultimo, ma identico termine decadenziale (ossia 30 giorni e non uno di meno). In altre parole, non sembra condivisibile conferire alla comunicazione dell’istanza di mediazione una sorta di effetto “impeditivo-sospensivo” del termine di decadenza, perdurante fino alla consacrazione della mancata conciliazione, alla stregua di quanto stabilito in tema di prescrizione dall’art. 2945, comma 2, c.c. – correlato al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, il cui atto introduttivo ha prodotto l’effetto interruttivo. D’altronde, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – v. sent. n. 17781 del 22 luglio 2013 – sia pure nei giudizi volti al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per durata irragionevole del processo, che, quale diritto patrimoniale, può essere soggetto alla disciplina della mediazione, in aderenza alla comune ratio di deflazione del contenzioso giudiziario, hanno avuto modo di puntualizzare che la domanda di mediazione comunicata entro il termine semestrale di cui all’art. 4 della legge n. 89/2001 impedisce, “per una sola volta”, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28/2010, la decadenza dal diritto di agire per la medesima equa riparazione, potendo quest’ultimo essere ancora esercitato, ove il tentativo di conciliazione fallisca, “entro il medesimo termine di sei mesi”, decorrente ex novo dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell’organismo di mediazione. 5. La mediazione obbligatoria “effettiva”. Da quando esiste la mediazione come condizione di procedibilità, giurisprudenza di merito e dottrina si sono chieste se ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità, la parte onerata da tale obbligo debba svolgere un’effettiva mediazione nel merito delle situazioni controverse, oppure se possa limitarsi a partecipare formalmente al primo incontro di mediazione e a manifestare, in tal sede, il proprio dissenso a proseguire ulteriormente la procedura. A tale quesito è stata data inizialmente risposta positiva dalla giurisprudenza di merito che esigeva una mediazione effettiva (Tribunale di Pistoia del 25.02.2017, Tribunale Firenze sez. III, 08/05/2019, Tribunale Pavia, 26/09/2016, Tribunale Vasto 23/04/2016). La Cassazione con le sentenze n. 8473 del 7 marzo 2019 e n. 18068 del 9 maggio 2019 aveva stoppato l’orientamento di certa giurisprudenza di merito sostanzialmente affermando che la condizione di procedibilità si considerava avverata semplicemente al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. Nonostante le pronunce della giurisprudenza di legittimità, i primi Tribunali a distaccarsi dal filone interpretativo adottato dal Giudice di legittimità sono stati quello di Firenze, con la sentenza dell’8 maggio 2019 e, poco dopo, quello di Roma, con la sentenza n.13630 pubblicata il 27 giugno 2019. Ai giudici fiorentino e romano si è aggiunto anche quello parmigiano, il quale, in occasione dello scioglimento di una riserva ex art. 648 c.p.c., ha disposto, ai sensi del secondo comma dell’art. 5, d. lgs. 28/2010, che le parti esperissero il tentativo di mediazione, sottolineando, a tal fine, che “la mediazione deve svolgersi con la presenza personale delle parti e l’ordine del giudice di esperire la mediazione può ritenersi assolto solo ove sia esperito un effettivo tentativo di mediazione e non può ritenersi sufficiente la mera partecipazione delle parti agli incontri preliminari informativi sulle finalità della mediazione”. Eloquente, e degno di essere qui riportato integralmente, il contenuto del dispositivo, in cui si legge che “per mediazione disposta dal giudice si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere – adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura di mediazione, salve l’esistenza di questioni pregiudiziali che ne impediscano la procedibilità”. Ancora, il giudice istruttore precisa che “le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e munite di assistenza legale di un avvocato iscritto all’albo”; infine, conclude il magistrato, “invita il mediatore a formulare in ogni caso proposta transattiva, e a specificare nel verbale il contenuto della proposta formulata alle parti, l’eventuale mancata partecipazione delle parti personalmente al procedimento senza giustificato motivo, e ai fini della regolamentazione delle spese processuali, quale delle parti ha opposto rifiuto alla proposta di mediazione”. Il contrasto tra i giudici di merito e la Suprema Corte in tema di effettività dell’esperimento della mediazione, con il conseguente perdurare delle non poche difficoltà pratiche che gli addetti ai lavori (organismi di mediazione in primis), speriamo sia cessato con la pronuncia recente della Suprema Corte. La Cassazione con l’ordinanza 13029 del 26 aprile 2022 ha chiarito che: “la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. A questi principi. stabiliti per la mediazione obbligatoria, ma applicabili anche allo stesso modo alla mediazione discrezionale disposta dal giudice […] La Corte intende dare incondizionata continuità”. 6. L’amministratore e la mediazione. Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice. La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato. Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare. Il d.l. n. 69/2013 c.d. "decreto del fare", convertito con modificazioni nella l. n. 98/2013, ha reintrodotto l'obbligo della mediazione civile e commerciale, per le materie di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 (diritti reali, successioni, locazioni, contratti assicurativi, bancari, finanziari, ecc.), ivi comprese quelle condominiali. Con tale intervento, quindi, riprende vita l'art. 71 quater delle disposizioni di attuazione del codice civile, introdotto dalla l. n. 220/2012 per disciplinare il procedimento di mediazione per le controversie in materia di condominio, mai entrato in vigore, poiché nelle more dell'approvazione della riforma, la Corte Costituzionale aveva già cancellato la mediazione obbligatoria (sentenza n. 272/2012). Le due norme si sovrappongono, esclusivamente, per la disciplina sulla competenza per territorio, per la quale, dalla lettura coordinata della norma codicistica e dall'art. 4 del d.lgs. n. 28/2010, viene indicata identica soluzione: la domanda va presentata, infatti, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione abilitato ubicato nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, ovvero il luogo in cui è situato il condominio. Per il resto, l'art. 71 quater disp. att. c.c. incide su argomenti specifici dell'ambito condominiale, non trattati dalle legge generale sulla mediazione. L'art. 71 disp. att. c.c. chiarisce, al primo comma, cosa debba intendersi per controversie "in materia di condominio" cui fa riferimento il citato d.lgs. n. 28/2010, offrendo una nozione ampia che ricomprende, oltre a tutto il capo II del titolo VII del libro III, anche gli artt. 61-72 delle disposizioni attuative del codice civile. Si tratta, quindi, di tutte le controversie relative sia agli artt. da 1117 a 1139 del codice civile, sia alle previsioni, in materia di condominio, disciplinate nelle disposizioni di attuazione dello stesso codice. All'interno delle controversie condominiali rientrano, pertanto, le vicende riguardanti le parti comuni, la destinazione d'uso delle stesse (considerata anche la conferma della previsione, post riforma, degli artt. 1117-ter e 1117-quater c.c. in tema, rispettivamente, di modificazioni e di tutela delle destinazioni d'uso). La disciplina della mediazione obbligatoria si intende pacificamente estesa sia al condominio minimo, sia a quello orizzontale che al supercondominio (tutte "articolazioni" previste nelle norme di cui agli artt. 1117 e ss. c.c.). Rientrano, inoltre, nell'alveo applicativo della mediazione in materia condominiale, tutte le controversie relative all'amministratore (artt. 1129-1133 c.c.), alle spese fatte dal condomino senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea (art. 1134 c.c.), all'assemblea dei condomini (artt. 1135-1137 c.c.), e al regolamento di condominio (art. 1138 c.c.), nonché le questioni inerenti l'impugnazione delle delibere condominiali (art. 1137 c.c.) e la responsabilità dell'amministratore e la sua revoca. Vanno, inoltre, fatte rientrare nella mediazione obbligatoria, le questioni inerenti le disposizioni dettate dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. in tema di scioglimento del condominio e dall'art. 63 disp. att. c.c. in materia di riscossione dei contributi condominiali. Tuttavia, è da sottolineare che, se da un lato, nella disciplina della mediazione rientrano le controversie in tema di riscossione dei contributi, va precisato, dall'altro che, a norma dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, la mediazione non si applica "nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione"; ciò significa che la disciplina della mediazione obbligatoria può scattare nei procedimenti di opposizione al decreto ingiuntivo, solo a seguito della pronuncia giudiziale sulla richiesta di sospensione. Da rilevare, infine, le disposizioni sull'amministratore (artt. 66 e 67, disp. att., c.c.), sulle tabelle millesimali (artt. 68 e 69, disp. att., c.c.), e sui regolamenti condominiali (artt. 70 e 72, disp. att., c.c.). Il regime delle eccezioni all’obbligatorietà della disciplina della mediazione non si ferma alla procedura per ingiunzione (così detto decreto ingiuntivo). L’art. 3 del d.lgs. n. 28/2010, specifica che “lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, ne' la trascrizione della domanda giudiziale”. Ciò vuol dire che se l’amministratore, ad esempio, deve promuovere un’azione d’urgenza per ottenere la consegna dei documenti da parte del suo predecessore non deve presentare, preventivamente, istanza di mediazione. L’art. 5, specifica altresì che il procedimento di mediazione non è necessario: [...] c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile; d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; [...] f) nei procedimenti in camera di consiglio (art. 5, quarto comma, d.lgs n. 28/2010). Abbiamo volutamente citato solamente le eccezioni strettamente connesse alla gestione del condominio. L'art. 71 quater disp. att. c.c. dispone al terzo comma che al procedimento "è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice civile". Ciò significa che il quorum deliberativo deve essere costituito, sia in prima che in seconda convocazione, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell'edificio, ferma restando ovviamente la validità del quorum costitutivo, di cui al primo e al secondo comma dell'art. 1136 c.c., formato dai condomini che rappresentino: in prima convocazione, la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'intero edificio; in seconda convocazione, un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'intero edificio. Per il procedimento di mediazione per le liti condominiali valgono, in linea generale, le regole dettate dal d.lgs. n. 28/2010. Al momento della presentazione dell'istanza, il responsabile dell'organismo di mediazione dovrà designare un professionista (mediatore), fissando l'incontro tra le parti entro e non oltre trenta giorni dal deposito dell'istanza stessa. In merito alla presenza delle parti, occorre, tuttavia, tenere presente quanto previsto dal quarto comma dell'art. 71 quater disp. att. c.c., secondo il quale, se i termini di comparizione davanti all'organismo di mediazione non consentono di ottenere la delibera di legittimazione in favore dell'amministratore, è possibile ottenere (previa apposita istanza) una "proroga" della data di prima comparizione. Nel corso del primo incontro, spetterà al mediatore chiarire le funzioni e le modalità di svolgimento dell'istituto, invitando le parti e i loro legali (la cui partecipazione è obbligatoria ex lege), ad esprimersi sulla possibilità di dare avvio alla mediazione. In caso di esito negativo, il procedimento si riterrà concluso, potendo adire l'autorità giudiziaria e non prevedendo alcun compenso per l'organismo di conciliazione. In caso, invece, di esito positivo, la mediazione proseguirà il suo regolare svolgimento, potendo verificarsi due ipotesi: il raggiungimento o meno dell'accordo. Nell'ipotesi in cui si raggiunga un accordo, il mediatore redigerà apposito verbale allegando il testo dell'accordo medesimo, il quale, una volta sottoscritto anche dagli avvocati dalle parti, costituirà "titolo esecutivo"; nell'ipotesi in cui, invece, non si pervenga ad un accordo, è compito del mediatore formulare una proposta di conciliazione, alla quale le parti, entro un termine congruo (di regola 7 giorni), dovranno rispondere, comunicando, per iscritto, la loro accettazione o il rifiuto; l'eventuale silenzio equivale al rifiuto della proposta. Anche in tal caso, l'art. 71 quater disp. att. c.c. prevede al quinto e al sesto comma, in merito alla "proposta di mediazione" che la stessa venga approvata dall'assemblea con la maggioranza richiesta dall'art. 1136, secondo comma, c.c.; a tal fine, il termine di sette giorni fissato in linea generale per l'accettazione o meno della proposta può essere derogato dallo stesso mediatore in ragione della "necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare". Il d.lgs. n. 28/2010 fissa in tre mesi il termine di durata massima della mediazione e, considerata l'assenza di disposizioni specifiche nella disposizione codicistica di cui all'art. 71-quater disp. att. c.c., tale termine si ritiene applicabile anche alle controversie condominiali. È da precisare, infine, che la procedura conciliativa, instaurata con la domanda di mediazione, impedisce il decorso del termine di decadenza (30 giorni) previsto dall'art. 1137 c.c. per impugnare la delibera condominiale. In caso di controversia condominiale vertente sulla domanda avanzata dall'amministratore del condominio per conseguire la condanna di una condomina al pagamento dei contributi, soggetta in base all'art. 71-quater, comma 1, disp. att. c.c. alla condizione di procedibilità dell'esperimento di mediazione, a tale ultimo procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa però delibera assembleare da assumere con maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c.. (Cass. 8 giugno 2020 n.10846). L'interruzione della decadenza e della prescrizione previste dall'art. 5, comma 6, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e successive modificazioni in materia di mediazione obbligatoria, si verifica per effetto non già della mera presentazione dell'istanza di mediazione, ma solo nel momento in cui essa è comunicata alle altre parti, adempimento a cui può provvedere, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lo stesso istante (Tribunale di Roma Sez. V 04.06.2019 n.11790). La riforma della giustizia, in tema di mediazione civile e commerciale, accoglie la richiesta di modificare le norme sul condominio per rendere la procedura più rispettosa della durata prevista dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 pubblicato nella G.U. del 17/10/2022 in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206 e che entrerà in vigore il 30 giugno 2023. Il nuovo articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, indipendentemente dalla materia oggetto della domanda di mediazione, infatti al comma 1 prevede: “Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti.”. Attualmente le procedure di mediazione in materia di condominio sono tra le più lunghe in termini di durata a motivo del dettato dell’art. 71 quater delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile che, rispettivamente ai commi 3, 4, 5 e 6, (ante riforma che entrerà in vigore a giugno 2023) recita: “Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare.” Come potranno confermare gli organismi di mediazione, i tanti colleghi incaricati e le stesse parti coinvolte, in ogni fase della mediazione, infatti, fin dalla adesione alla convocazione quindi o fin dalla legittimazione al deposito della istanza (da giugno prossimo: “domanda”) ed in ogni fase successiva della mediazione, occorre verificare la volontà dell’assemblea condominiale da adottare con delibera a maggioranze, costitutive e deliberative, qualificate I tempi necessari per l’adozione di tutte queste delibere rendono il procedimento di mediazione in materia condominiale notevolmente più lungo di quello delle altre materie di cui all’articolo 5 co 1bis del d.lgs. 28/2010 (dal 2023 ampliate alle nuove materie previste dalla riforma). Si è giunti così alla modifica della riforma Cartabia, di cui accennavamo all’inizio di questo approfondimento, che al punto 2 dell’art. 2 (del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149), prevede: “Al Capo I, Sezione III, articolo 71-quater, delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni: 1. a) il comma 2 è abrogato; 2. b) al comma 3, le parole «, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’artico-lo 1136, secondo comma, del codice» sono sostituite dalle seguenti: «secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28»” ovvero Art. 5 -ter (Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio). 1. L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa. a) il quarto, quinto e sesto comma sono abrogati. Quale delle maggioranze dell’art.1136 C.C. deve essere adottata? Si può pensare che il riferimento è al quorum previsto per l’argomento oggetto della mediazione. 7. Il subentro nei diritti di un condomino. Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente. L'art. 63 disp. att. c.c. che limita al biennio precedente all'acquisto l'obbligo del successore beni diritti di un condomino versare, in solido con il dante causa, i contributi da costui dovuti al condominio è norma speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall'art. 1104, ultimo comma c.c., che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido col cedente a pagare in contributi dovuti dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali, anche nei rapporti tra il condomino cessionario e il condomino va fatta applicazione dell'art. 63, comma 2, disp. att. c.c., poiché il rinvio operato dall'art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio (Cass. 16 gennaio 2015 n.702). Il condominio, il quale invochi in giudizio la responsabilità solidale dell'acquirente di un'unità immobiliare per contributi relativi alla conservazione o al godimento delle parti comuni, è gravato della prova dei fatti costitutivi del proprio credito, fra i quali è certamente compresa l'inerenza della spesa all'anno in corso o a quello precedente al subentro dell'acquirente al precedente condomino. L'anno, cui fa riferimento l'art. 63, comma 2, disp. att. c.c., deve - peraltro - essere inteso con riferimento al periodo annuale costituito dall'esercizio della gestione condominiale, non necessariamente, perciò, coincidente con l'anno solare (Cass. 22 marzo 2017 n.7395). Trattandosi di obbligazione propter rem, l’amministratore in ogni caso rivolgerà la richiesta di pagamento al soggetto che sia titolare del diritto di proprietà, salvo azione interna di regresso tra i debitori solidali. Una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato. Ne consegue che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (Tribunale di Firenze Sez. II 04.02.2016 n.444 in Arch. Locazioni 2016, 3, 303). In tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato, con la conseguenza che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 63 disp. att. c.c. per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (atteso che l'obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l'obbligato alla proprietà dell'immobile) (Tribunale di Roma Sez. V 29 aprile 2020 n.6706 in Redazione Giuffrè 2020). Il fatto che la morosità di cui il condominio chieda il pagamento sia risalente, anteriore all'acquisto dell'unità immobiliare a seguito dell'aggiudicazione e conseguente al mancato pagamento di contributi condominiali da parte del precedente proprietario, fa sì che tale morosità ricada integralmente sul precedente proprietario dell'immobile che ha subito la procedura esecutiva che ha condotto alla vendita del bene ed alla successiva aggiudicazione da parte del successivo acquirente in quanto la solidarietà prevista dall'art. 63 disp att cc riguarda esclusivamente il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso ed a quello precedente (Tribunale di Savona 24.09.2018 in Redazione Giuffrè 2019). Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Ai sensi dell'art. 63 disp.att. comma 5 c.c. nuova formulazione "chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto". A seguito della riforma del 2012, infatti, nell'ipotesi di trasferimento per atto tra vivi, a qualsiasi titolo di unità immobiliari in regime di condominio, la trasmissione all'amministratore della copia autentica dell'atto di trasferimento è essenziale al fine della liberazione dell'alienante dall'obbligo di contribuzione alle spese condominiali. La ratio della norma va individuata nella scelta legislativa di non far gravare sull'amministratore del Condominio l'impegno della continua individuazione dei titolari delle unità immobiliari, inducendo in tal modo l'alienante a cooperare fattivamente al tempestivo aggiornamento del registro di anagrafe condominiale (Tribunale di Roma Sez.V 02.01.2018 n.6 in Redazione Giuffrè 2018). 8. Il recupero del credito di terzi nei confronti del condominio. Il secondo comma dell’art.63 disp.att. C.C. prevede che “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”. La nota pronuncia n.9148/08 ha portato le Sezioni Unite della Cassazione a disconoscere l'indirizzo principale adottato dalla previgente giurisprudenza che qualificava le obbligazioni assunte dal condominio come solidali quando si riteneva esigibile per intero dal singolo condomino il debito condominiale (salvo poi il diritto di rivalsa sugli altri condomini). Tuttavia, il vincolo di solidarietà giuridica rimane ove per il creditore sia infruttuosa l’escussione preventiva del patrimonio del condomino moroso, con possibilità per quest’ultimo di agire nei confronti di tutti gli altri condomini, seppur in regola con i pagamenti. Ed onde consentire ai creditori il recupero dei propri crediti, la riforma della disciplina del condominio contempla la possibilità anche per tali soggetti di accedere ai dati di gestione per individuare il condomino moroso ed agire direttamente nei confronti di quest’ultimo. La riforma ha infatti introdotto l'obbligo per l'amministratore di comunicare le generalità dei condomini morosi ai creditori che lo interpellino e non ancora soddisfatti (art. 63 disp. att. c.c., comma 1). Con la riforma del condominio, si passa dunque dalla possibilità all'obbligo dell'amministratore di comunicare le informazioni concernenti i condomini morosi ai creditori: unica condizione è che questi ultimi ne facciano richiesta. Ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., il condominio e per esso il suo amministratore ha l’obbligo di comunicare al proprio creditore insoddisfatto i dati dei condomini morosi nel pagamento dei contributi condominiali relativi al credito stesso. Merita pertanto accoglimento la richiesta di fissare, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., una somma a carico del condominio per l’eventuale ritardo nell’esecuzione della condanna a tale comunicazione (Tribunale di Roma Sez. V 01.02.2017 in Redazione Giuffrè 2017). In tal caso, potranno essere resi noti i nominativi dei condomini non in regola con il pagamento della somma dovuta e delle rispettive quote millesimali, con una comunicazione propedeutica ad informare i creditori del condominio dell'esatta identità di quei componenti della collettività condominiale, che non avendo pagato le rate condominiali, rischiano di mettere in difficoltà il condominio nel suo complesso. Unico limite alla comunicazione prevista nella nuova formulazione dell'art. 63 disp. att. c.c. è l'esclusione dei condomi