STUDIO LEGALE MOSCATELLI CANALETTI

Contratto di leasing immobiliare: variazione dell’indice finanziario e del tasso di cambio del canone: i cri

2023-02-27 17:43

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Contratto di leasing immobiliare: variazione dell’indice finanziario e del tasso di cambio del canone: i criteri di meritevolezza di cui all’art.1322, comma 2,

Contratto di leasing immobiliare: variazione dell’indice finanziario e del tasso di cambio del canone: i criteri di meritevolezza di cui all’art.1322, comma 2, C.C.


 


Il leasing immobiliare è una sorta di contratto di locazione che consente al “locatario finanziario” di godere dell'immobile grazie al versamento di un canone periodico e di avere l'opportunità, al termine del periodo pattuito, di riscattare l'immobile per diventarne proprietario.


L’operazione è caratterizzata da alcuni elementi imprescindibili: il costo del bene finanziato, la durata del contratto, la periodicità dei canoni, il tasso leasing, il canone leasing, gli eventuali servizi accessori, le clausole di indicizzazione, la possibilità di un maxicanone iniziale, il valore di riscatto del bene.


Dubbi sono sorti in merito al contratto di leasing immobiliare che, in presenza di determinate clausole e modalità, potrebbe diventare uno strumento finanziario soggetto a particolari limitazioni con conseguenti obblighi informativi a carico della concedente.


In una fattispecie, le parti avevano concluso un contratto di leasing immobiliare con particolari modalità ancorate da una serie di indici variabili.


La valuta nominale di riferimento del contratto era stata indicata nel franco svizzero; la società utilizzatrice doveva rimborsare il finanziamento in euro; il rimborso doveva avvenire in 15 anni, mediante pagamento di un anticipo di un certo numero di rate mensili e di un prezzo finale di riscatto; la rata dovuta dall’utilizzatrice alla concedente poteva aumentare o diminuire in funzione di due variabili:  del tasso “LIBOR 3 mesi - CHF” e delle variazioni del tasso di cambio tra l’euro e il franco svizzero, con il rischio della modificazione del canone in aumento e in diminuzione entro una certa misura.


La locataria, ad un certo punto, interrompeva il pagamento costringendo la concedente a proporre ricorso per decreto ingiuntivo che veniva emesso dal Tribunale anche nei confronti dei garanti per l’importo di tutti i canoni scaduti e non pagati.


La utilizzatrice del bene ed i garanti proponevano opposizione deducendo, in particolare, che il contratto di leasing, nella parte in cui conteneva la clausola di variabilità del canone, andava qualificato come “strumento finanziario implicito”, e doveva ritenersi perciò nullo, in quanto stipulato senza che fossero stati assolti da parte della banca i preventivi obblighi di informazione imposti dal d. lgs. 58/98.


Il Tribunale di Udine con sentenza 24.2.2015 n. 314 ritenne che la clausola la quale prevedeva la variazione del canone in funzione sia del tasso LIBOR che del tasso di cambio tra l’euro ed il franco svizzero contenesse in realtà due strumenti finanziari derivati, autonomi rispetto al contratto di leasing. Ne dichiarò perciò la nullità, poiché la società utilizzatrice non aveva ricevuto le informazioni precontrattuali prescritte dalla legge prima della stipula di contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari. Ridusse di conseguenza il credito della concedente con condanna anche al risarcimento dei danni.


La concedente proponeva impugnazione dinanzi alla Corte di Appello di Trieste che rigettò il gravame affermando, però, diversamente dal giudice di primo grado, che il contratto era da considerare come “una sorta di swap”, “aleatorio” e rientrante nel genus delle scommesse; la Corte di merito riteneva, altresì, che l’ancoraggio del canone al tasso di cambio fosse complessa e provocasse uno “squilibro nelle prestazioni” perché rischiosa a seconda della variazione favorevole o sfavorevole al concedente e che, quindi, il contratto, come riscontrato nella c.t.u. in primo grado, contenesse “elementi riconducibili a strumenti finanziari derivati”; accoglieva, pertanto, l’opposizione al decreto ingiuntivo in quanto la (sola) clausola di rischio cambio era “invalida ex art. 1322, secondo comma, C.C.”, e non già perché il contratto fosse nullo a causa della violazione degli obblighi di informazione precontrattuale prescritti dal d.lgs. 58/1998.


La concedente proponeva ricorso per Cassazione contro cui resistevano la locataria ed i garanti.


            Assegnato alla Terza Sezione Civile della Cassazione e discusso il ricorso, con ordinanza interlocutoria 16.03.2022 n.8603, venivano rimessi gli atti al Primo Presidente affinchè fosse valutata la possibilità di assegnazione alle Sezioni Unite.


            Nell’ordinanza, dopo aver ravvisato l’esistenza di contrastanti decisioni, la Terza Sezione riteneva non persuasivo l’orientamento che negava alle clausole suddette la qualificazione di “derivati impliciti” e sollecitava le Sezioni Unite a stabilire, siccome questioni di massima di particolare importanza:


“a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa;


b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti;


c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente”.


            Nel primo motivo di ricorso, la concedente deduceva che la Corte di Appello aveva interpretato erroneamente il contratto trattandosi semplicemente di contratto stipulato in valuta estera e la doppia indicizzazione prevista non avesse le caratteristiche di strumento finanziario derivato.


            Tale motivo veniva dichiarato inammissibile perché la Corte di Appello, diversamente dal Tribunale, non aveva considerato il contratto di leasing immobiliare come strumento finanziario derivato né aveva accertato la omissione degli obblighi informativi bensì aveva ritenuto che il contratto stipulato dalle parti fosse immeritevole di tutela ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, C.C..


            Ed è su quest’ultimo aspetto che si fondava il secondo motivo del ricorso per Cassazione.


            L’art.1322 C.C. stabilisce il principio dell’autonomia contrattuale delle parti ed, in particolare, al secondo comma, prevede che le parti possano concludere contratti anche atipici purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.


            Per la Suprema Corte, riprendendo la relazione al Codice Civile, il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma secondo, C.C., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa ma deve riguardare il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta (ex aliis, Sez. U - , Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017). Ed il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico.


Nel caso di specie, la Corte d’appello ha reputato che la clausola di “rischio cambio” fosse “immeritevole” ex art. 1322 c.c. sulla base di tre argomentazioni non condivisibili dalle Sezioni Unite della Cassazione:


1) il calcolo della variazione del saggio di interesse dovuto dall’utilizzatrice era “astruso e macchinoso”. Tale argomento è erroneo perché una clausola contrattuale “astrusa” od inintelligibile non rende il contratto nullo o “immeritevole” ex 1322 C.C. me comporta che il giudice deve ricorrere agli strumenti legali di ermeneutica (artt. 1362-1371 c.c.);


2) la clausola che disciplinava il “rischio cambio” era caratterizzata da aleatorietà e squilibrio, in quanto prevedeva una differente base di calcolo dell’indicizzazione, a seconda che l’euro si fosse apprezzato o deprezzato rispetto alla valuta di riferimento. Anche tale argomento non è corretto atteso che non esistono concetti “facili” e concetti “difficili”. Esistono concetti noti e concetti ignoti: i primi sono comprensibili ed i secondi no, se non vengano spiegati. L’equazione stabilita dalla Corte d’appello, per cui “macchinosità della clausola = immeritevolezza” è dunque erronea in punto di diritto; in ogni caso un contratto aleatorio non è, per ciò solo, immeritevole di tutela ex articolo 1322 C.C.. Né è inibito alle parti stipulare contratti aleatori atipici: la Corte di legittimità, infatti, ha già affermato la liceità e la meritevolezza di contratti aleatori non espressamente previsti dalla legge: ad esempio, in materia di c.d. vitalizio atipico (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 8209 del 22/04/2016; Sez. 3, Sentenza n. 2629 del 27/04/1982). Neppure è vietato inserire elementi di aleatorietà in un contratto commutativo. E l'assunzione del suddetto rischio, come già stabilito da questa Corte, può risultare anche per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni (Sez. 1, Sentenza n. 948 del 26/01/1993, Rv. 480454 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 17485 del 12/10/2012; Sez. 3, Ordinanza n. 8881 del 13/05/2020; Sez. 2, Sentenza n. 2622 del 4.2.2021). Lo squilibrio delle prestazioni, infine, non può farsi coincidere con la convenienza del contratto. Chi ha fatto un cattivo affare non può pretendere di sciogliersi dal contratto invocando “lo squilibrio delle prestazioni”. L’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale (così, ex multis, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 36740 del 25/11/2021, Rv. 663148 - 01).


3) il c.t.u. aveva accertato che fin dalla stipula del contratto era prevedibile un costante apprezzamento del franco svizzero sull’euro. Ma l’eventualità che uno dei contraenti taccia alla controparte circostanze note circa lo sviluppo o la convenienza dell’affare potrebbe costituire una violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella conclusione dei contratti, e dunque anche in questo caso i rimedi previsti dall’ordinamento possono essere l’annullamento del contratto per errore o il risarcimento del danno, ma non certo il giudizio di “immeritevolezza” del contratto. La Corte d’appello ha formulato in iure un giudizio di “immeritevolezza” del contratto, ex art. 1322, comma secondo, c.c., dopo avere accertato in facto circostanze irrilevanti ai fini del suddetto giudizio (aleatorietà, difficoltà di interpretazione, asimmetria delle prestazioni). Ha dunque, in questo modo, falsamente applicato il suddetto art. 1322 c.c..


Le Sezioni Unite hanno accertato l’esistenza del contrasto giurisprudenziale.


In particolare, la questione è stata esaminata da Sez. 3, Sentenza n. 4659 del 22/02/2021, la quale ha escluso che le suddette clausole possano qualificarsi come “strumenti finanziari derivati impliciti”; e poi da Sez. 3, Ordinanza n. 26538 del 30.9.2021, la quale ha ritenuto erronea l’interpretazione del contratto con cui il giudice di merito aveva ritenuto “squilibrata”, in quanto favorevole ad una sola delle parti, la  clausola.


Ancora, le Sezioni Unite hanno affermato che la clausola di cui si discorre, innanzitutto, non è uno strumento finanziario derivato in base alla normativa, fornendo una dettagliata ed esaustiva indicazione di tali strumenti alla luce della disciplina vigente ratione temporis all’epoca della stipula del leasing immobiliare (2006) quando la nozione di “strumenti finanziari derivati” era contenuta nell’art. 1, comma 3, d. lgs. 24.2.1998 n. 58 (nel testo modificato dal d. lgs. 17.1.2003 n. 6, ed anteriore alle modifiche di cui al d. lgs. 29.12.2006 n. 303) e della disciplina attuale che elenca le ipotesi di strumenti finanziari derivati nell’Allegato I al d. lgs. 58/98, Sezione “C”, punti 4-10 [art. 1, comma 2 ter, lettera (a), d. lgs. 58/98]; o quelli individuati dal Ministro dell’economia con proprio decreto (art. 1, comma 2 bis, d. lgs. 58/98).


Nessuna delle previsioni contenute nelle suddette norme è tale da includere, senza residui, la clausola di “rischio cambio” concordata dalle parti nel contratto di leasing immobiliare de quo.


Con sentenza n.5657 del 23.02.2023 Cass.SS.UU. ha cassato con rinvio la sentenza n.751/2018 della Corte di Appello di Trieste, formulando nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto: “La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98”.


Trani, 27.02.2023                                                     (Avv. Alessandro Moscatelli)





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