La scadenza del contratto di locazione nel caso di morte del locatore che sia usufruttuario dell’immobile. Il titolare del diritto di usufrutto di un appartamento stipulava un contratto di locazione ad uso commerciale, regolarmente registrato, in favore di una società esercente l’attività di affittacamere. La qualità di usufruttuario veniva resa nota alla società conduttrice. Nel corso del rapporto decedeva il locatore e la nuda proprietaria acquisiva la titolarità del pieno diritto di proprietà dell’immobile locato. La proprietaria invitava la società conduttrice al rilascio dell’immobile decorso il quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto, così come previsto dall’art.999 C.C. che testualmente recita: “Le locazioni concluse dall'usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto”. Stante il rifiuto della società conduttrice, la proprietaria proponeva azione dinanzi al Tribunale di Roma al fine di accertare e dichiarare la cessazione del contratto di locazione per l’avvenuto decorso del quinquennio di cui all’art.999 C.C. con conseguente condanna al rilascio dell’immobile, condizionandolo al pagamento della indennità di avviamento di cui all’art.34 della Legge n.392/1978, con condanna altresì al pagamento della penale per ritardato rilascio prevista nel contratto di locazione e vittoria di spese e competenze di giudizio. La società conduttrice si costituiva in giudizio e, contestando la prospettazione della ricorrente, eccepiva che la proprietaria, essendo erede dell’usufruttuario deceduto, era comunque subentrata in ogni situazione attiva e passiva del de cuius, indipendentemente dal fatto che fosse la nuda proprietaria e, pertanto, era anche tenuta alla prosecuzione del contratto di locazione stipulato dal di lei defunto padre rispettando la scadenza contrattuale nonostante il disposto di cui all’art. 999 C.C.; in subordine, chiedeva che la proprietaria fosse condannata non solo al pagamento della indennità di avviamento ma anche della ulteriore pari somma nella eventualità che l’appartamento fosse destinato entro l’anno al medesimo uso; contestava e riteneva non dovuta la penale per ritardato rilascio prevista in contratto in quanto applicabile solo alle conseguenze derivanti dal rilascio oltre il termine contrattuale e non per la scadenza di cui all’art.999 C.C. ed, in ogni caso, chiedeva i danni per le migliorie apportate all’immobile e per l’indebito arricchimento ex art.2041 C.C. della parte locatrice; chiedeva, infine, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Le domande e le contestazioni sollevate dalle parti sono molteplici ma si vuole approfondire, nel caso di specie, quali argomentazioni abbia utilizzato il Giudice in relazione alla determinazione del termine di rilascio dell’immobile, ossia se abbia considerato il termine di scadenza della durata del contratto di locazione (tesi della società resistente) ovvero quello quinquennale dalla cessazione dell’usufrutto ai sensi dell’art.999 C.C. (testi della ricorrente). Ci si chiede, allora, se l’art. 999 C.C. possa trovare applicazione nel caso in cui il titolare della nuda proprietà sia anche erede dell’usufruttuario defunto che ha stipulato la locazione. La ricorrente ha richiamato una pronuncia datata della Suprema Corte secondo cui: “Dal fatto che un soggetto si trovi nella particolare situazione di rivestire congiuntamente le due qualità di proprietario del fondo precedentemente locato dall'usufruttuario e di erede dell'usufruttuario locatore, non discende che, cessato l'usufrutto per morte dell'usufruttuario, la locazione debba essere rispettata, da parte di detto proprietario, oltre i termini stabiliti dall'art 999 C.C.” (Corte di Cassazione, Sez. II, sen. n. 1744 del 06.07.1962). Il Giudice del Tribunale di Roma ha affermato che, effettivamente, la cessazione dell’usufrutto per morte dell’usufruttuario, anche da un punto di vista logico-giuridico, esula completamente dal fenomeno successorio. Il soggetto che era titolare del diritto di nuda proprietà, compresso dal diritto di godimento dell’usufrutto, alla cessazione di quest’ultimo vede riespandere il diritto di cui era già titolare. Semplicemente la proprietà che prima era compressa dall’usufrutto si riespande in piena proprietà. Ciò prescinde dal fatto che il proprietario fosse erede dell’usufruttuario defunto visto che il diritto di proprietà era già in capo al nudo proprietario prima del decesso del titolare del diritto di godimento. La tesi di parte resistente, sul piano generale, è applicabile in tutti i contratti stipulati dal de cuius che proseguono in capo agli eredi ma, nel caso di specie, occorre considerare la specialità dell’art.999 C.C.. In virtù del principio lex specialis derogat generali, le norme speciali sono destinate a prevalere su quelle generali. Il titolare del diritto di usufrutto può fare propri i frutti naturali e civili della cosa (art. 984 C.C.) a differenza del titolare del diritto d’uso o di abitazione. Ed appunto, tra i frutti civili rientrano le locazioni, cioè il corrispettivo del godimento che altri abbia della cosa (art. 820 C.C.) e, dunque, il contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario è intrinsecamente legato al diritto di usufrutto e sarebbe destinato a estinguersi con esso. Il Giudice, per corroborare tale ragionamento, si avvale di un esempio: se l’usufruttuario avesse lasciato più eredi e tra questi vi fosse un solo titolare del diritto alla nuda proprietà cosa accadrebbe al decesso del titolare del diritto reale di godimento? Il contratto di locazione dovrebbe proseguire in capo a tutti gli eredi ma il pieno e unico proprietario dell’immobile sarebbe un solo erede già titolare della nuda proprietà. Chi potrebbe esercitare il diritto alla risoluzione del contratto? Chi dei presunti locatori vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione dell’immobile? Per tale ragione la giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che “è stata espressamente affermata la valenza del decesso come crinale che separa due periodi temporali ai fini dei loro effetti giuridici: il periodo anteriore al decesso produce effetti giuridici a favore o a carico dei soggetti che diventano eredi del de cuius; il periodo posteriore al decesso non consente l'insorgenza di debiti o crediti in capo al soggetto che, quale deceduto, ha perduto la capacità giuridica, e tantomeno quindi non la consente per i suoi eredi. Nel caso in cui, poi, il deceduto era un usufruttuario, la posizione rispetto al rapporto locatizio che assume il soggetto che acquisisce la piena proprietà è specificamente regolata dall'articolo 999 c.c., il quale prevede una opponibilità del contratto al pieno proprietario pienamente compatibile con il suddetto principio generale di scissione cronologico-giuridica degli effetti del rapporto quanto al lato soggettivo del locatore” (Corte di Cassazione, Se. III, sen. n. 24222 del 2019, parte motiva). Dunque, in caso di contratto di locazione stipulato da un usufruttuario deve applicarsi un principio di scissione cronologico-giuridica: per il periodo antecedente al decesso la posizione contrattuale è trasmessa iure hereditario ai successori a titolo generale, per il periodo successivo la successione a titolo particolare del soggetto divenuto pieno proprietario. Ciò a prescindere dal fatto che sia erede o meno dell’usufruttuario. Questo perché la riespansione del diritto di proprietà esula dalla disciplina del diritto successorio. In conclusione, nel caso di specie deve trovare applicazione l’art. 999 c.c. e considerarsi termine di scadenza quello quinquennale dalla cessazione dell’usufrutto. Il Giudice del Tribunale di Roma con sentenza n.5304 del 31.03.2023 ha condannato la società conduttrice al rilascio dell’immobile condizionandolo al pagamento dell’indennità della perdita dell’avviamento di cui all’art.34 della legge n.392/1978 ed ha, altresì, condannato la conduttrice al pagamento della penale per ritardato rilascio seppur equitativamente ridotta ed alle spese del giudizio. Per completezza, va detto che il Giudice ha rigettato la domanda riconvenzionale di pagamento proposta dalla società resistente in relazione alle presunte migliorie apportate all’immobile dalla conduttrice, poiché l’azione andava esperita ex art. 1592 C.C., ipotesi tipica prevista dalla legge, e non con domanda di indebito arricchimento ex art. 2041 C.C., che costituisce invece uno strumento di tutela residuale. Trani, 01.04.2023 (Avv. Alessandro Moscatelli)