La condanna della curatela alle spese di lite nei giudizi di opposizione allo stato passivo. Il curatore, sia per quanto previsto dall’art.95 della legge fallimentare che per quanto stabilito dall’art.203 del Codice della Crisi con riguardo alla liquidazione giudiziale, è chiamato a redigere il progetto dello stato passivo sulla base delle domande di ammissione proposte dai creditori. Accade spesso che tra le domande di ammissione allo stato passivo di un fallimento siano ricomprese quelle relative a presunti crediti di lavoro. Il caso in esame concerne la domanda di indennità retributive fondate su asseriti rapporti di lavoro subordinato “a nero” per lunghi periodi con importanti cifre. Il curatore, non rinvenendo traccia alcuna dalla documentazione inerente il rapporto dedotto né ricevendo informazioni a riguardo dall’imprenditore fallito, in sede di esame dello stato passivo, era costretto a formulare proposta negativa sulla domanda presentata ed il Giudice Delegato non ammetteva il relativo credito. Il lavoratore, pertanto, proponeva opposizione allo stato passivo. Nel giudizio il lavoratore chiedeva di accertare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, la durata, le mansioni svolte, l’orario di lavoro ed ogni altro elemento per quantificare le indennità retributive eventualmente spettanti e poneva a supporto della domanda la prova orale, chiedendo l’ammissione al passivo del credito che ne derivava sulla base dei propri conteggi o nella misura ad accertarsi in corso di giudizio. Il rapporto di lavoro, quindi, non poteva che essere accertato in corso di causa in tutti i suoi elementi qualitativi e quantitativi non sussistendo evidentemente, all’atto della domanda di ammissione allo stato passivo, i requisiti per l’insinuazione al passivo del relativo credito. La curatela, nell’interesse della massa, non poteva che costituirsi in giudizio e contrastare l’opposizione per quanto possibile. Il Tribunale di Trani – Sezione Fallimentare, con decreto del 17.04.2023, all’esito dell’istruttoria, ha accolto l’opposizione disponendo la ammissione al passivo del credito del lavoratore condannando, però, la curatela fallimentare al pagamento delle spese di lite. Sorgono delle perplessità in merito a tali fattispecie. Il curatore, in merito alla domanda di ammissione al passivo di un credito di lavoro non fondata su titoli o, comunque, su documenti (es. prospetti paga, CUD, etc.), in sede di udienza di verifica, non avrebbe mai potuto formulare parere positivo né il Giudice Delegato avrebbe mai potuto ammettere un credito di tal genere. Ne consegue che il giudizio di opposizione allo stato passivo costituisce l’unica possibilità per procedere all’accertamento dell’asserito rapporto di lavoro subordinato ed alla determinazione delle indennità sia nell’interesse del lavoratore che nell’interesse della curatela. A parere dello scrivente, quindi, è necessario che il legislatore intervenga sul principio della soccombenza in ordine alle spese di lite a carico della curatela nel giudizio di opposizione allo stato passivo in tutti quei casi in cui sia necessario il previo accertamento del rapporto dal quale scaturisce la pretesa creditoria e ne sia incerto l’ammontare. Non va trascurato, infine, che il credito per il compenso professionale del difensore del lavoratore viene ammesso in prededuzione allo stato passivo ponendo a carico della massa una spesa per l’accertamento di un credito derivante da carenze originarie non attribuibili alla curatela e alla massa. Trani, 22.04.2023 (Avv. Alessandro Moscatelli)