STUDIO LEGALE MOSCATELLI CANALETTI

Il confine tra l’azione di revindica e l’azione di restituzione di un immobile.

2023-04-25 09:26

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Il confine tra l’azione di revindica e l’azione di restituzione di un immobile.

Il confine tra l’azione di revindica e l’azione di restituzione di un immobile.


L’azione che il titolare del diritto intraprende per riottenere la disponibilità di un immobile nei confronti di un occupante sine titulo può nascondere delle insidie da cui può dipendere l’esito del giudizio.


Traiamo spunto da casi recentemente affrontati dalla giurisprudenza di merito per chiarire la differenza tra l’azione di revindica e l’azione di restituzione.


La prima fattispecie riguarda un originario rapporto di comodato gratuito nel corso del quale, dopo la morte del comodatario, la comodante agiva dinanzi al Tribunale per riottenere la restituzione di un appartamento dall’avente causa dello stesso comodatario ed il risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima occupazione.


Il comodatario era deceduto ed il nipote, che era rimasto nella detenzione dell’immobile, sosteneva, in giudizio, che aveva convissuto con il dante causa, anziano, al fine di prestare al medesimo assistenza e che la attrice non aveva dato prova della titolarità del diritto di proprietà dell’immobile.


Ritenendo, il Tribunale di Foggia, che l’azione intrapresa si configurasse come azione di rivendica e che non fosse stata fornita idonea prova sulla proprietà e sull’immissione in possesso da parte dell’attrice, con sentenza n.1318 del 13.10.2020, aveva rigettato sia la domanda di restituzione dell’immobile che quella risarcitoria.


La comodante era costretta a proporre impugnazione avverso la citata sentenza dinanzi alla Corte di Appello di Bari.


L’appellante si doleva della errata qualificazione della domanda da parte del tribunale che aveva ravvisato un’azione di rivendicazione ex art. 948 C.C..


Non era stata formulata alcuna domanda di accertamento della proprietà dell’immobile ma solo una azione personale di restituzione, né vi era stata opposizione da parte del convenuto di un titolo sul bene in controversia avendo, anzi, il medesimo, dedotto esservi stato un rapporto di comodato tra il nonno deceduto e la appellante, unico opponibile alla medesima quale titolo di detenzione.


Deduceva altresì, l’appellante, di aver subito un pregiudizio in re ipsa dal mancato godimento dell’immobile per non aver percepito il canone locativo di mercato per il protratto periodo di illegittima occupazione reiterando la domanda risarcitoria.


L’appellato contestava le motivazioni dell’appello sostenendo che il giudice di primo grado aveva correttamente inquadrato la fattispecie come azione di revindica. Chiedeva il rigetto dell’appello con conseguente conferma della sentenza di primo grado.


La Corte adita rilevava non sussistere un conflitto tra le parti sulla titolarità del bene e che il convenuto non aveva opposto alcun proprio diritto reale sul bene ragion per cui l’azione doveva esser qualificata in termini di restituzione e non di rivendica.


D’altronde, in primo grado, era anche stato prodotto il titolo di proprietà da parte dell’attrice escludendo la configurabilità di un conflitto tra titoli di proprietà.


L’attrice, quindi, aveva agito correttamente per ottenere la restituzione del bene dall’appellato, atteso che quest’ultimo era rimasto nella detenzione dell’immobile senza alcun titolo legittimante.


Si evinceva ex actis che il bene in controversia era stato concesso in uso in forza di un rapporto di comodato al nonno dell’occupante e solo il suddetto poteva esser titolato a fruirne, non essendo il relativo beneficio trasmissibile al nipote che dopo il decesso del nonno certo non poteva più giustificare la permanenza nell’immobile per ragioni di assistenza e cura.


Con riferimento alla domanda risarcitoria, pur affermando la sussistenza del pregiudizio, alla stregua di quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. 15/11/2022 n. 33645), l’ammontare del danno veniva contenuto secondo valutazioni equitative.


            La Corte di Appello di Bari, quindi, con sentenza n.665 del 21.04.2023, in accoglimento dell’appello, condannava l’appellato all’immediato rilascio dell’immobile, al risarcimento dei danni per la illegittima occupazione dello stesso ed al pagamento delle spese processuali per il doppio grado di giudizio.


            In una fattispecie analoga, in cui il proprietario di un appartamento agiva per ottenere il rilascio di un immobile nei confronti di un occupante sine titulo, il quale assumeva di trovarsi nella detenzione dell’immobile in virtù di un contratto di locazione “verbale” del suo dante causa, il Tribunale di Palermo precisava che, in tema di difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso e, quindi, può limitarsi ad allegare l’insussistenza ab origine di qualsiasi titolo che legittimi l’altrui relazione materiale col bene.


Alla luce di tali considerazioni, è evidente che l’azione intrapresa, nel caso di specie, non è un’azione di rivendica, bensì un’azione di restituzione di un immobile del quale l’attrice si dichiara di essere proprietaria, affermando che un altro soggetto lo detiene sine titulo.


Anche in questo caso, il Tribunale di Palermo con sentenza n.1857 del 18.04.2023 accertava che l’immobile veniva occupato senza titolo e condannava al rilascio ed al risarcimento dei danni.


L'azione di rivendicazione e quella di restituzione hanno natura distinta: la prima ha carattere reale, si fonda sul diritto di proprietà di un bene, del quale l'attore assume di essere titolare e di non avere la disponibilità, ed è esperibile contro chiunque in fatto possiede o detiene il bene al fine di ottenere l'accertamento del diritto di proprietà sul bene stesso e di riacquisirne il possesso, mentre la seconda ha, invece, natura personale, si fonda sulla deduzione della insussistenza o del sopravvenuto venir meno di un titolo di detenzione del bene da parte di chi attualmente lo detiene per averlo ricevuto dall'attore o dal suo dante causa, ed è rivolta, previo accertamento di quella insussistenza o di quel venir meno, ad ottenere consequenzialmente la consegna del bene; ne discende che l'attore in restituzione non ha l'onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà, ma solo dell'originaria insussistenza o del sopravvenuto venir meno — per invalidità, inefficacia, decorso del termine di durata, esercizio dell'eventuale facoltà di recesso del titolo giuridico che legittimava il convenuto alla detenzione del bene nei suoi confronti; le due azioni, peraltro, pur avendo causa petendi e petitum distinti, in quanto dirette al raggiungimento dello stesso risultato pratico della disponibilità materiale del bene riacquisito, possono non solo proporsi in via alternativa o subordinata nel medesimo giudizio, ma anche trasformarsi l'una nell'altra nel corso di esso, nel rispetto delle preclusioni introdotte nel codice di rito (Cass. III, n. 23086/2004; Cass. III, n. 2392/2002; Cass. III, n. 2092/2000).


Trani, 24.04.2023                                                     (Alessandro Moscatelli)



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