Il pagamento dei canoni nel corso del giudizio di sfratto sana la morosità ma non esclude l’inadempimento. L’ipotesi attiene ad un contratto di locazione ad uso diverso da abitazione in forza del quale il conduttore si rendeva moroso nel pagamento di due mensilità del canone che costringevano il locatore ad intraprendere la azione di sfratto. All’udienza di convalida il conduttore non si costituiva in giudizio mentre il locatore rappresentava al Giudice l’avvenuto pagamento delle due mensilità di cui allo sfratto e la persistente morosità per le mensilità maturate successivamente alla notifica. Denegato il rilascio in considerazione della sanatoria intervenuta nel corso del giudizio per i due canoni di cui allo sfratto per morosità, il Giudice disponeva il mutamento del rito e rimetteva le parti in mediazione. Conclusosi con esito negativo il procedimento di mediazione per la mancata comparizione della parte intimata, all’udienza di discussione, pur essendo stati corrisposti dal conduttore tutti i canoni di locazione dovuti, l’intimante insisteva per la domanda di risoluzione del contratto e di conseguente rilascio dell’immobile nonché di condanna al pagamento delle spese di lite. Risultando senza dubbio la morosità da parte del conduttore, il Giudice era chiamato a verificare se la stessa fosse stata tale da determinare la risoluzione del contratto. Incontestata la morosità preesistente alla notifica dello sfratto, sanata nel tempo intercorrente tra la data di notifica e l’udienza di convalida, secondo il Tribunale adito, il pagamento dei canoni successivi erano stati corrisposti nel corso del giudizio, comunque in ritardo, configurando rilievi di inadempimento di gravità tale da legittimare la domanda di colpevole risoluzione del contratto. E ciò nonostante il conduttore avesse versato nelle more del giudizio non solo la somma inizialmente intimata, ma anche i canoni maturati nelle more del giudizio stesso sino alla data dell’udienza di discussione, di fatto azzerando sia la morosità maturata al momento dell’intimazione che quella successiva. Il Giudice applicava il principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui il pagamento delle morosità, qualora avvenga dopo la introduzione del giudizio, non costituisce sanatoria della vicenda giuridica relativa alla declaratoria dell’inadempimento, operando il principio generale di cui al comma 3 dell’art.1453 C.C. il quale esclude che il debitore possa adempiere la propria obbligazione successivamente all’introduzione della domanda di risoluzione contrattuale. La purgatoria della mora, infatti, successiva alla domanda di risoluzione contenuta nell’intimazione di sfratto, non è ostativa, ai sensi del citato art. 1453 C.C., all’accertamento della gravità del pregresso inadempimento di parte intimata nell’ambito del giudizio ordinario che a tal fine prosegua dopo il pagamento dei canoni scaduti (in tal senso, Tribunale di Roma, sentenza n. 22888/19). Secondo lo stesso arresto della Suprema Corte, del resto, l’adempimento tardivo può valere a purgare la morosità ma non a cancellare l’inadempimento (Cass. 10587/08). Il comportamento posto in essere dal conduttore, ai sensi dell’art. 1455 C.C., non solo non era stato proporzionato alla buona fede contrattuale, ma aveva anche inciso profondamente sul concreto interesse del locatore all’esatta e tempestiva prestazione e, pertanto, determinava l’applicabilità della declaratoria ex art. 1453 c.c. della risoluzione del contratto per fatto e colpa grave del conduttore, con conseguente condanna al rilascio dell’immobile. Ad incidere sulla valutazione della gravità dell’inadempimento concorrevano ulteriori elementi quali le concrete modalità con cui si era svolto l’intero rapporto contrattuale, nel corso del quale il locatore aveva addirittura concesso al conduttore una diminuzione iniziale del canone per i primi sei mesi di rapporto, al fine di favorirne l’avviamento; rilevavano, ancora, in senso negativo, la mancata comparizione alla disposta mediazione ed il giudizio in merito al successivo comportamento del convenuto il quale, dopo la prima sanatoria della morosità intimata, aveva continuato per il restante corso del rapporto locatizio ad ignorare le scadenze contrattuali, provvedendo nuovamente a sanare l’ulteriore morosità maturata nelle more del giudizio solo in prossimità dell’udienza fissata per la decisione. Di contro, sussistevano, nel caso di legge, i requisiti di legge avendo dimostrato, il locatore, il titolo della pretesa creditoria con l’allegazione del contratto di locazione A tal fine, doveva rilevarsi come l’attore avesse dimostrato in giudizio il titolo fondante la pretesa creditoria fatta valere (“In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n.826 del 20.01.2015). Nella fattispecie concreta la presenza di una plurima morosità maturatasi all’epoca della litispendenza configurava un inadempimento grave. In ogni caso il criterio legale di predeterminazione della gravità dello inadempimento in un solo canone, ex art. 5 della L. n. 392 del 1978, previsto per i contratti di locazione ad uso abitativo, poteva valere solo quale parametro di orientamento per valutare in concreto, ai sensi art. 1455 c.c., se l’inadempimento del conduttore fosse stato o meno di scarsa importanza. Nel caso di specie, però, il mancato pagamento dei canoni e la sua effettuazione solo dopo la notifica dell’intimazione e, pertanto, con violazione dei termini contrattualmente previsti, costituiva di per sè solo grave sintomo di inadempimento ai fini della domanda di risoluzione svolta (Tribunale Roma sez. VI, 15/02/2018, n.3505). Secondo la giurisprudenza, la risoluzione del contratto di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni e/ o oneri accessori, può aversi solo con riferimento a inadempimenti tali da rompere l'equilibrio contrattuale, tenuto conto del complessivo comportamento osservato dal conduttore (Cassazione civile n. 8076 del 04.06.2002, Corte d’Appello di Napoli del 06.05.2015). Il Giudice rilevava l’assenza di alcuna causa impeditiva o comunque giustificativa del ritardo poiché il conduttore non aveva mai interrotto la normale attività di impresa nei locali oggetto di locazione; d’altronde, la regolarizzazione della morosità pregressa era intervenuta solo a seguito della proposizione del procedimento di sfratto e della imminenza della udienza di discussione, con inspiegabile ritardo sulle scadenze di contratto. Trattavasi di evidenze di un inadempimento talmente grave da interrompere il nesso di corrispettività tra le prestazioni e, quindi, da giustificare una risoluzione della locazione. Il Tribunale di Roma, quindi, con sentenza n.8008 del 22.05.2023, accoglieva la domanda di risoluzione proposta dal locatore ed, ai sensi dell’art. 1591 C.C. ed in accoglimento della ulteriore domanda di condanna al pagamento dei canoni di locazione maturandi sino al rilascio dell’immobile, condannava inoltre il conduttore, per l’ipotesi di mancato immediato rilascio, al pagamento dell’indennità di occupazione pari al canone mensile di € 600,00, come maturanda sino all’effettiva restituzione del bene al locatore; condannava, infine, il conduttore al pagamento delle spese di lite. Trani, 30.05.2023 Avv. Alessandro Moscatelli