STUDIO LEGALE MOSCATELLI CANALETTI

Il diritto alla provvigione del mediatore.

2023-12-30 16:14

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Il diritto alla provvigione del mediatore.

I presupposti per la maturazione del compenso dell'agente immobiliare.


 


Il diritto del mediatore alla provvigione


 


1.     Il diritto al compenso del mediatore.


L’art.1755 del Codice Civile prevede che il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento; il diritto alla provvigione è anche sancito dall’art.6 della legge 3 febbraio 1989 n.39 che ha disciplinato l’attività del mediatore inquadrandola come una vera e propria professione, prevedendo particolari requisiti per l’iscrizione ed istituendo appositi ruoli presso le Camere di Commercio.


La provvigione matura, quindi, se l’affare è concluso per effetto dell’attività del mediatore ma possono sorgere alcune variabili che incidono sul diritto al compenso.


 


2.     La conclusione dell’affare.


Innanzi tutto, occorre stabilire che cosa si intenda per “conclusione dell’affare” che fa maturare il diritto al compenso del mediatore.


Sul punto la Corte di Cassazione è di recente intervenuta chiarendo che:


La giurisprudenza ormai univoca - superata la precedente opinione che collegava alla conclusione di un contratto preliminare l'insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione - ha escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un affare in senso economico-giuridico, ma si sia solo costituito un vincolo idoneo a regolare le successive fasi del procedimento formativo dello stesso (come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. preliminare di preliminare, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento). Tale ultimo negozio, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l'oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell'autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell'accordo interlocutorio”.


(Cassazione civile sez. II, 16/03/2023, n.7628).


La giurisprudenza non riconosce valido un "impegno che impegni ad impegnarsi" ancora successivamente... in mancanza della stipula di un vero e proprio contratto preliminare o definitivo, concluso fra alienante ed acquirente presenti... all'agenzia non basta allegare la proposta irrevocabile sottoscritta dal potenziale compratore ed un'accettazione firmata dal venditore al fine di ottenere la provvigione...laddove le parti si siano limitate a raggiungere un accordo di massima e si siano riservate di stipulare, successivamente, un vero e proprio contratto, non si può affermare che l'affare sia stato concluso, e quindi la provvigione non spetta...).


La giurisprudenza ormai univoca - superata la precedente opinione che collegava alla conclusione di un contratto preliminare di preliminare l'insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione (Cass. n. 24397/15, Cass. n. 923/17) - ha escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un "affare" in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dello stesso, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. "preliminare di preliminare", costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento.


Per poter ravvisare la conclusione dell'affare, quale fonte del diritto del mediatore alla provvigione, non basta accertare la sottoscrizione della proposta irrevocabile d’acquisto da parte dell'aspirante acquirente, che offre un certo corrispettivo per l'acquisto del bene, e nemmeno riscontrare che vi sia stata la conforme accettazione del proprietario, che pur abbia dato luogo ad una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l'accordo è irrevocabilmente raggiunto, e valga perciò a configurare un “preliminare di preliminare”, secondo quanto spiegato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4628 del 2015.


La Cassazione ha piuttosto già chiarito che, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare può ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (Cass. Sez. 2, n. 30083 del 2019; Sez. 2, n. 39377 del 2021; Sez. 2, n. 15559 del 2022; Sez. 2, n. 15577 del 2022; Sez. 2, n. 17396 del 2022; Sez. 2, n. 20132 del 2022; Sez. 2, n. 24533 del 2022; Sez. 6-2, n. 28879 del 2022; Sez. 2, n. 7628 del 2023).


 


        Nell’illustrazione di un caso concreto, che ha portato la Corte di legittimità ad esprimersi sul predetto orientamento, è stato individuato il momento in cui sorge il diritto alla provvigione del mediatore.


        Il caso trae origine da un ricorso per decreto ingiuntivo depositato in Tribunale dal mediatore al fine di ottenere il pagamento della provvigione maturata in relazione alla attività svolta in favore di potenziali acquirenti di un immobile.


Questi ultimi proponevano opposizione al decreto ingiuntivo assumendo che l’affare non si era concluso e, di conseguenza, non era sorto il diritto al pagamento del compenso poiché non era stato sottoscritto il contratto preliminare, predisposto dal mediatore, in quanto contenente evidenti variazioni nelle condizioni di pagamento del saldo del prezzo rispetto a quanto concordato nel corso delle trattative.


Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo.


Il mediatore impugnava la sentenza dinanzi alla Corte di Appello di L’Aquila che accoglieva il gravame e confermava il decreto ingiuntivo.


        La Corte, dall’esame delle clausole contenute nel contratto di mediazione immobiliare, e in particolare della clausola che individuava il momento di maturazione del diritto alle provvigioni nell'avvenuta accettazione della proposta d'acquisto, riteneva esigibile il compenso da parte del mediatore, benchè la proposta irrevocabile di acquisto non contenesse né le modalità di pagamento del prezzo né il termine per la stipula del contratto definitivo.


        I potenziali acquirenti proponevano ricorso per Cassazione.


        I ricorrenti lamentavano, tra l’altro, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 C.C. atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel rapporto di mediazione ai fini della maturazione della provvigione occorre verificare - oltre al nesso di causalità tra la conclusione dell'affare e l'opera del mediatore, nonché l'identità dell'affare proposto con quello concluso (Cass. 22.01.2015, n. 1120) - il compimento di un'operazione generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti che dia diritto di agire per l'adempimento o per il risarcimento dei danni (Cass. 3.11.2005, n. 24399). Di conseguenza, la proposta irrevocabile d'acquisto non può integrare un contratto preliminare.


Nel secondo motivo di ricorso, i potenziali acquirenti, deducendo la violazione e la falsa applicazione di regole ermeneutiche contrattuali, dell'art. 1341 c.c. e dell'art. 1362 c.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentavano l’omissione di una operazione ermeneutica complessiva da parte della Corte d'Appello che non aveva tenuto conto di una clausola negoziale in cui era espressamente previsto che il pagamento della provvigione veniva riconosciuto al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita immobiliare.


        Nel terzo motivo di ricorso, infine, i potenziali acquirenti deducevano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1337, dell'art. 1469-bis e dell'art. 1469-quinquies c.c. (oggi D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 - Codice del consumo), nonché l’omissione di un altro fatto decisivo per il giudizio. La Corte non aveva considerato la disciplina del Codice del Consumo e della vessatorietà delle clausole del contratto di mediazione considerato che risultava incerta la determinazione del compenso in tutti i suoi elementi.


La Suprema Corte, accogliendo i tre motivi di ricorso, stabilisce importanti principi in materia di compenso nella intermediazione immobiliare.


In ordine al primo motivo la Corte parte dal presupposto che, nel contratto di mediazione, il pagamento della provvigione ai sensi dell'art. 1755 C.C. è strettamente connesso alla conclusione dell'affare.


La rilevanza causale della conclusione dell'affare, quale fondamento delle pretese di carattere patrimoniale del mediatore, del resto, emerge indirettamente anche dall'art. 1756 C.C., ai sensi del quale, salvo patti o usi contrari, il mediatore avrà diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite, anche se l'affare non è stato concluso (Cass. Sez. 2, n. 26682 del 24.22.2020).


Dall'art. 1755 C.C. deriva, allora, che i soggetti intermediati, aderendo al contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell'attività posta in essere dal mediatore a loro vantaggio, se non al momento della conclusione dell'affare (ex plurimis: Cass. Sez. 2, n. 28879 del 05.10.2022 - Rv. 665970-01; Cass. Sez. 2, n. 30083 del 19.11.2019 - Rv. 656202-01).


Nel caso di specie, la proposta irrevocabile proveniente dal promissario acquirente ed accettata dai promittenti venditori assume la veste di accordo preparatorio destinato ad inserirsi nell'iter formativo del futuro negozio traslativo della proprietà che mai ha avuto luogo.


E', dunque, dal momento della stipulazione del contratto preliminare ovvero del contratto definitivo, se avessero avuto luogo, che sarebbe potuto maturare il diritto alla provvigione del mediatore.


La Cassazione ha ritenuto fondati anche il secondo ed il terzo motivo.


        In effetti, la clausola contestata, laddove prevede la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell'affare (nell'interpretazione della giurisprudenza surrichiamata), determina un significativo "squilibrio normativo" (ex art. 33, comma 1, Codice del Consumo) e deve ritenersi nulla.


        D’altronde la Cassazione aveva già stabilito che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell'affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell'art. 1469-bis C.C. (norma applicabile ratione temporis al caso ivi esaminato), se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all'attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore (Cass. Sez. 3, n. 22357 del 03.11.2010, n. 22357.


Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell'affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione (Cass. n. 19656 dell'08.09.2020).


L'accertamento relativo all'abusività della clausola va svolto anche nell'ipotesi in cui sia prevista l'anticipazione della maturazione del diritto alla provvigione, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall'attività da questi svolta.


Ciò in conformità con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale l'art. 3, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (corrispondente al nostro art. 33, comma 1, Codice del consumo) deve essere interpretato nel senso che la nozione di "significativo squilibrio" a danno del consumatore deve essere valutata mediante un'analisi delle disposizioni nazionali applicabili in mancanza di un accordo tra le parti, onde appurare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale (Corte di Giustizia Europea, C - 415/11, Mohammed Aziz).


Nel nostro caso, soccorre l'art. 1755 C.C. laddove fa coincidere la maturazione del diritto alla provvigione con la "conclusione dell'affare", da interpretarsi nei termini e limiti sopra precisati.


La Cassazione Civile Sez. II, con sentenza n.9612 delll’11.04.2023, ha cassato la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila praticamente rigettando la domanda di pagamento del compenso del mediatore e tracciando delle chiare indicazioni per la corretta individuazione del momento in cui sorge tale diritto.


 


3. Il nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.


La professionalità degli agenti immobiliari dovrebbe lasciare poco spazio a condotte equivoche, sintomatiche di rapporti poco chiari con i clienti che possono compromettere il buon esito dell’affare e la maturazione del compenso provvigionale.


L’attività dell’agente immobiliare deve essere causalmente determinante, a prescindere dalla durata temporale tra l’incarico e la conclusione dell’affare.


L’attività del mediatore deve essere tale da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 25851/2014; Cass. n. 21559/2018; Cass. n. 11443/2022).


Un’agenzia immobiliare riceveva incarico, in via esclusiva, di vendere un immobile.


L’attività dell’agente proseguiva, di fatto, dopo la scadenza annuale dell’incarico in quanto, su espressa richiesta del mandante, il mediatore continuava a detenere le chiavi ed a procacciare potenziali acquirenti a cui faceva visionare l’immobile.


L’agenzia immobiliare, sempre dopo la scadenza del mandato, su autorizzazione del mandante si occupava della redazione di un disciplinare tecnico operativo per la ristrutturazione dell’immobile al fine di poterlo piazzare sul mercato.


Tra i potenziali acquirenti, l’agenzia immobiliare aveva fatto visitare l’immobile ad uno particolarmente interessato cui consegnava tutta la documentazione dell’immobile ed entrava in trattativa, poi bruscamente interrotta.


A distanza di circa tre anni dal conferimento dell’incarico, il mandante richiedeva la restituzione delle chiavi e comunicava la irrevocabilità della scadenza del mandato di mediazione, di fatto ritenendo, unilateralmente, esaurito il rapporto contrattuale de quo, invito prontamente adempiuto da essa mandataria la quale, a decorrere da quella data, si disinteressava della mediazione a suo tempo regolarmente demandatale.


Sta di fatto, tuttavia, che, dopo circa un anno dalla predetta risoluzione consensuale del rapporto, fatta eseguire una visura storica dell’immobile, l’agente immobiliare apprendeva dell’avvenuto acquisto proprio da parte del potenziale acquirente con cui era entrato in trattativa, senza essere stato preavvisato e senza il riconoscimento delle maturate provvigioni.


L’agenzia immobiliare, dopo aver richiesto in via bonaria il pagamento delle proprie spettanze, così come pattuite nel conferimento di incarico, senza sortire esito alcuno, era costretta a rivolgersi al Tribunale proponendo ricorso ai sensi dell’art.702 bis c.p.c..


A supporto della domanda, ribadiva l’evidenza documentale rappresentata dal documento denominato “tagliando di visita”, sottoscritto dal potenziale acquirente con il quale lo stesso riconosceva espressamente l’attività di mediazione espletata dall’agenza incaricata che, di fatto, rendeva possibile l’incontro tra le parti, così maturando l’invocato diritto a percepire la provvigione ai sensi dell’art.1755 C.C..


Il mandante si costituiva in giudizio confermando la sottoscrizione dell’incarico originario disconoscendo la proroga oltre l’anno stabilito ed asserendo che era stata l’agenzia a trattenere le chiavi dell’immobile per i successivi tre anni, nonostante le reiterate richieste di restituzione; contestava finanche che fosse stato comunicato alcun nominativo di potenziale acquirente da parte dell’agenzia; rilevava, in ragione dell’inerzia e dell’evidente disinteresse della società ricorrente di aver conferito l’incarico di vendita ad un portale web; confermava di aver venduto al cliente indicato dall’agenzia l’immobile in questione senza, tuttavia, che il predetto nominativo gli fosse stato mai comunicato dal mediatore, disconoscendone, pertanto, alcun diritto alla richiesta provvigione.


        Il Giudice del Tribunale di Bari accertava l’esistenza del rapporto di mediazione e l’avvenuta proroga dopo la scadenza contrattualmente prevista: ciò emergeva dalla circostanza che la richiesta formale di restituzione delle chiavi fosse avvenuta dopo tre anni; accertava anche che il potenziale acquirente era lo stesso che due anni prima aveva visionato l’immobile tramite l’attività posta in essere dall’agenzia immobiliare.


        Il Giudice, però, riteneva che, per il conseguimento della provvigione fosse necessario che l’attività di mediazione costituisse pur sempre l’antecedente necessario per giungere all’affare, dovendosi configurare un’attività utile, non limitata solamente a far visionare l’immobile oggetto del mandato a vendere. Il diritto al compenso non sussisteva allorché, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intermediario ma senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto di una “nuova iniziativa” in nessun modo ricollegabile alle precedenti o da questa condizionata, sicchè possa escludersi l’utilità dell’originaria intermediazione.


        La domanda del mediatore, quindi, veniva rigettata.


        L’agenzia immobiliare proponeva appello e si costituiva in giudizio il mediatore.


La Corte di Appello di Bari richiamava il principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui: In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto secondo il principio della causalità adeguata. La prestazione del mediatore può esaurirsi nel ritrovamento e nella indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi della trattativa sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario, tale che senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso(Cass. sentenza n.11433 dell’8/4/2022).


Secondo il giudice del gravame, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, ritenendosi sufficiente che il mediatore, pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo formativo della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare “l’antecedente indispensabile” per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (cfr. Cass. n.869 del 16/1/2018).


La sottoscrizione del “tagliando di visita” da parte dell’acquirente dimostrava l’attività posta in essere dal mediatore e, diversamente da quanto stabilito dal giudice di primo grado secondo cui ogni nesso eziologico era stato interrotto sia per il tempo trascorso (due anni) che per il diverso prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile, la Corte di Appello riteneva che fosse indubitabile che l’acquirente dell’immobile avesse appreso la notizia della collocazione dello stesso nel mercato immobiliare locale, solo ed esclusivamente tramite iniziative promozionali e pubblicitarie presuntivamente poste in essere dall’agenzia immobiliare dalla quale riconosceva espressamente di aver avuto informazioni in merito con “segnalazione dell’affare”.


Le informazioni ricevute, ovvero gli estremi del venditore ed altre notizie utili (documentazione relativa al mutuo residuo gravante sull’immobile, chiaramente comunicato dal proprietario) costituivano, in tutta evidenza, quella “messa in relazione” delle parti, a sua volta rappresentante il richiesto antecedente necessario alla conclusione dell’affare.


La non richiesta necessità di un intervento protrattosi per tutta la serie delle trattative, articolate e complesse nel tempo, rendeva irrilevante il rilievo temporale cui il primo giudice aveva attribuito efficacia ablativa del rapporto di causalità adeguata predetto, così come il risultato delle trattative stesse non può contrastare la circostanza che, senza l’intervento dell’intermediaria, l’acquirente non avrebbe potuto sapere della disponibilità alla vendita del cespite.


La Corte di Appello di Bari con sentenza n.746 del 10.05.2023, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, condannava l’appellato al pagamento della provvigione al mediatore e delle spese di lite.


La rilevanza del nesso eziologico tra attività di mediazione e conclusione dell’affare è stata anche rilevata dalla Corte di legittimità in tante pronunce fissando il principio secondo cui la provvigione spetta al mediatore quando la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente, che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata Cassazione civile sez. III, 09/12/2014, n.25851; Cassazione civile sez. II, 10/02/2020, n.3055).


Un’interessante pronuncia della corte di legittimità ha confermato l’applicazione di questo principio in una fattispecie particolare in cui l’attività dell’agente immobiliare era stata interrotta con espressa rinuncia al compenso.


Le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare di compravendita in data 11.05.2013, cui erano pervenute grazie all’attività di mediazione di un agente immobiliare, si erano determinate a risolverlo siglando, in data 24.05.2013, un accordo in calce al quale il mediatore aveva espressamente rinunciato alla provvigione maturata.


Due mesi dopo, le stesse parti stipulavano un nuovo contratto preliminare per il medesimo immobile, senza informare il mediatore e così concludendo l’affare.


Venutone a conoscenza, il mediatore richiedeva il pagamento della provvigione che il promittente venditore ed il promissario acquirente rifiutavano di riconoscere per avere, l’agente, espressamente rinunciato al compenso all’atto della sottoscrizione dell’accordo di risoluzione del primo preliminare di compravendita.


Il Giudice di Pace rigettava la domanda dell’agente immobiliare.


Per tale motivo il mediatore proponeva appello dinanzi al Tribunale di Siracusa per accertare l’intervenuto accordo fraudolento tra il promittente venditore ed il promissario acquirente e, previo annullamento ai sensi dell’art.1427 C.C. dell’atto di rinuncia alla provvigione, per sentir condannare le parti contraenti al pagamento del corrispettivo pattuito nella misura del 3% del prezzo di vendita dell’immobile.


Il Tribunale, pur escludendo l’ipotesi fraudolenta dell’accordo intercorso tra promittente venditore e promissario acquirente, evidenziava che le parti avevano sottoscritto un nuovo preliminare di compravendita derivante comunque dall’attività di mediazione svolta dall’agente immobiliare.


Tale attività aveva inciso in maniera decisiva anche in relazione al secondo contratto, avente ad oggetto lo stesso immobile.


Per il giudice, non avevano rilevanza il nuovo corrispettivo determinato in misura leggermente superiore e la stipulazione di un mutuo, trattandosi di elementi che non costituivano altro se non diverse modalità di definizione del medesimo affare, momentaneamente interrotto e poi ripreso.


Per tale motivo, la domanda del pagamento del corrispettivo proposta dal mediatore veniva accolta.


Il promissario acquirente ha proposto ricorso per Cassazione sostanzialmente dolendosi del fatto che il mediatore aveva espressamente rinunciato alla provvigione sottoscrivendo l’accordo di risoluzione del primo preliminare di compravendita, così determinando l’estinzione del credito; nessun diritto alla provvigione poteva essere in seguito riconosciuto una volta che le parti, due mesi dopo, avevano stipulato un nuovo contratto preliminare dello stesso immobile, stante l'interruzione del nesso di causalità tra l'attività del mediatore e la successiva stipulazione che la predetta rinuncia aveva determinato.


La Cassazione, con ordinanza n.3134 del 02.02.2022, ha ritenuto infondato il motivo di gravame sottolineando la corretta prospettazione del Tribunale di Siracusa che aveva riconosciuto il diritto di provvigione del mediatore sul rilievo che l’acquirente era entrato in relazione con la proprietaria dell’immobile per effetto proprio dell’opera di mediazione svolta che aveva inciso anche per la stipulazione del secondo preliminare di compravendita.


Secondo la Suprema Corte il tribunale si era perfettamente adeguato alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la "messa in relazione" delle stesse costituisca l'antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto, con la conseguenza che la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell'indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 3438 del 2002; Cass. n. 23438 del 2004; Cass. n. 28231 del 2005; Cass. n. 9884 del 2008; Cass. n. 19705 del 2008; Cass. n. 25851 del 2014; Cass. n. 869 del 2018).


Né poteva in senso contrario rilevare l'atto con il quale il mediatore, a fronte della risoluzione consensuale del contratto preliminare inizialmente stipulato dalle parti, aveva dichiarato di rinunciare alla provvigione conseguentemente maturata: invero, una volta accertato, in fatto, che pure la successiva stipulazione tra le stesse parti di un nuovo (e, sia pur in parte, diverso) contratto preliminare di compravendita dello stesso immobile era causalmente riconducibile all'attività di mediazione inizialmente svolta, non poteva che riconoscersi allo stesso mediatore, in relazione a tale affare (e non certo a quello precedente), il conseguente diritto alla provvigione maturata.


Il Tribunale si era adeguato alla giurisprudenza di legittimità, come innanzi esposta, senza che il ricorrente avesse offerto ragioni sufficienti per mutare tale orientamento: per tale motivo il ricorso, a norma dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c., era inammissibile (Cass. SS.UU. n. 7155 del 2017).


Il promissario acquirente, ricorrente in Cassazione, veniva anche condannato al pagamento delle spese processuale e dell’ammenda pari all’importo del contributo unificato.


 


4.     Provvigione del mediatore e forme e modalità di trasferimento del bene.


La problematica che si intende approfondire in questo paragrafo è diretta a capire se le diverse forme e modalità della stipula dell’atto di trasferimento dell’immobile rispetto a quelle previste nell’accordo concluso con l’intervento del mediatore, possano incidere sulla provvigione.


In un caso, una dottoressa dava incarico ad una agenzia immobiliare di procedere alle attività di mediazione per l’acquisto di una farmacia.


L’azienda veniva ceduta alla interessata che non provvedeva, però, al pagamento delle provvigioni in favore del mediatore.


Quest’ultimo era costretto a proporre ricorso per decreto ingiuntivo che veniva emesso dal Tribunale ed avverso il quale la dottoressa proponeva opposizione deducendo di nulla dovere, in quanto il contratto non si era concluso con l'attività di mediazione dell’agente immobiliare.


Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo.


La sentenza veniva impugnata dal mediatore ma la Corte di Appello confermava la decisione del Tribunale.


Sia nel primo che nel secondo grado, i giudici avevano ritenuto che il


 contratto concluso tra le parti, avente ad oggetto la cessione dell’azienda, non poteva essere considerato risultato dell’attività di mediazione in quanto ne era del tutto indipendente e diverso nella forma. Era stato istituito un trust ed erano state determinate diverse modalità di versamento del prezzo, previa risoluzione dell’originario contratto preliminare tra le parti che avevano anche condizionato la stipula dell’atto definitivo all’erogazione di un finanziamento richiesto dalla promittente acquirente e mai erogato.


        L’agente immobiliare, quindi, proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Lecce.


        Tralasciando gli altri motivi di ricorso, per quel che interessa in questa sede, il mediatore, in particolare nel secondo motivo, lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 1754, 1755, 1757, 1175, 1375 C.C., nonché dell’art. 116 c.p.c..


Evidenziava che la promissaria acquirente era stata messa al corrente della possibilità di acquistare la farmacia e che la stessa aveva riconosciuto anche per iscritto l'indispensabilità dell'intervento del mediatore. Dopo una complessa negoziazione l’affare era stato effettivamente concluso, a nulla rilevando che le parti avessero stipulato un contratto di compravendita del medesimo bene con qualche variazione inerente al solo prezzo e il fatto che lo stesso, tramite la creazione di un trust, fosse stato anche garantito da un terzo soggetto.


        La Suprema Corte parte dal presupposto che il diritto alla provvigione sorge quando il mediatore abbia reso possibile la conclusione dell’affare, il quale deve essersi realizzato “per effetto” del suo intervento (art. 1755 C.C.), ossia in forza di un’attività che è stata causa efficiente in proposito.


        Nel caso di specie, il giudice del merito, in ragione delle diverse modalità dell’atto di trasferimento stipulato, ha escluso il diritto alla provvigione senza tener conto dalla giurisprudenza univoca di legittimità che ha riconosciuto che “il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 25851/2014; Cass. n. 21559/2018; Cass. n. 11443/2022).


L’apposizione al contratto concluso di condizioni o termini differenti, ossia “gli accomodamenti convenuti dalle parti nella estrinsecazione della loro libertà negoziale” (Cass. n. 25851/2014), non priva il mediatore del diritto al compenso – che sussiste pure quando al preliminare non segua la conclusione del definitivo (Cass. n. 17396/2022) - non potendo questo diritto legarsi alla definizione del contenuto del contratto concluso, ossia a vicende che riguardano oramai le parti contrattuali.


Per escludere il diritto del mediatore alla provvigione occorre considerare se “la ripresa delle trattative tra le parti fosse intervenuta per effetto di iniziative nuove assolutamente non ricollegabili alle precedenti e da queste condizionate, tali da escludere la rilevanza dell'intervento dell'originario mediatore” (Cass. n. 1120/2015; Cass. n. 22426/2020), idonee, cioè, a spezzare il collegamento causale tra l’affare concluso tra le stesse parti e l’attività compiuta dall’intermediario.


Il nesso causale, nel caso di specie non è stato interrotto per le evidenti circostanze fattuali emerse: a) il conferimento al mediatore di un mandato di intermediazione di acquisto di una farmacia; b) il fatto che la promissaria acquirente veniva messa al corrente dal mediatore della possibilità di acquistare la farmacia in altra città, così escludendo che il venditore avesse rapporti diretti con la potenziale acquirente; c) la conclusione dello stesso tipo di contratto, pur se a diverse condizioni, ossia il successivo acquisto proprio della stessa farmacia (tra l’altro sita in un luogo distante centinaia di chilometri) tra le medesime parti.


La Corte di Cassazione Sez. II, con sentenza n.11880 del 05.05.2023, accogliendo il secondo motivo di ricorso proposto dal mediatore ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Lecce rinviando ad altra sezione in diversa composizione al fine di verificare, attenendosi ai principi sopra enucleati, sotto il profilo causale, se il contratto definitivo sarebbe stato concluso ugualmente senza l’attività del mediatore.


 


5.     Onerosità dell’incarico di mediatore.


La presunzione di onerosità dell’incarico del mediatore è prevista dall’art.1755 C.C..


Ci si chiede se vi sia la possibilità che il mediatore esoneri dal pagamento del compenso una delle parti superando la presunzione di onerosità espressamente stabilita dalla norma.


Nel caso di specie, i promittenti venditori negavano che fosse stato pattuito un compenso a loro carico per l’attività di mediazione svolta per la vendita dell’immobile, essendo stato verbalmente convenuto che avrebbe provveduto al pagamento il solo promissario acquirente.


        Pur essendo stata espletata in giudizio una prova testimoniale che aveva confermato questa pattuizione verbale in ordine alla gratuità della prestazione del mediatore, il Tribunale rigettava la domanda di pagamento dell’agente immobiliare in virtù del fatto che tale prassi era diffusa nell’ambito delle compravendite immobiliari.


        L’agente immobiliare era costretto ad impugnare la sentenza.


        La Corte di Appello accoglieva l’impugnazione rilevando che i promittenti venditori avevano sottoscritto il modulo contenente la proposta d'acquisto relativa all'immobile, successivamente compravenduto; nella proposta, tra l’altro, vi era l'espressa pattuizione relativa al pagamento della provvigione in favore del mediatore nella percentuale stabilita. Poiché i venditori avevano sottoscritto la proposta d'acquisto senza apporre condizioni, secondo il giudice del gravame, la clausola relativa alla corresponsione della provvigione avrebbe vincolato anche loro nella stessa misura, altrimenti neppure si sarebbe potuto ipotizzare il perfezionamento della proposta nei suoi termini essenziali.


Pertanto, in applicazione dell'art. 2722 C.C., la prova testimoniale assunta in primo grado era da considerarsi inammissibile in quanto riguardante patti contrari al contenuto del documento.


        Il diritto alla provvigione era maturato per il solo fatto della conclusione dell'affare quale conseguenza dell'intervento del mediatore e della relazione intercorsa tra le parti e a lui causalmente attribuibile, senza necessità di incarico formale (Cass. n. 25851/2014).


        I promittenti venditori impugnavano in Cassazione la sentenza della Corte di Appello di Bologna.


        La Sezione II della Corte di Cassazione, con sentenza n.9694 del 12.04.2023 ha statuito che, in tema di mediazione, le parti possono convenire che la venditrice non debba pagare alcuna provvigione al mediatore e, qualora la prima sottoscriva una proposta irrevocabile di acquisto contenente la clausola assunta dalla parte acquirente relativa al pagamento della provvigione, ben può superare la presunzione di onerosità dell'incarico a suo carico mediante testimoni, posto che rispetto a tale proposta parte alienante deve qualificarsi come terzo.


 


6.     Diritto alla provvigione e iscrizione nel ruolo professionale dei mediatori.


In una controversia giudiziaria un agente immobiliare aveva convenuto in giudizio il cliente per il pagamento delle provvigioni maturate a seguito di una mediazione prestata in una compravendita.


Ciò che rileva e si vuole evidenziare, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento e conclusione dell’affare ai fini della maturazione della provvigione in capo al mediatore, è la rilevanza che può assumere in giudizio la mancata iscrizione all’albo professionale tenuto dalla Camera di Commercio.


Nel giudizio dinanzi al Tribunale si rivelava vincente la difesa dedotta solo in sede di precisazione delle conclusioni, in cui il cliente eccepiva il difetto di iscrizione dell’attore all’albo professionale dei mediatori tenuto dalla Camera di Commercio, come requisito del diritto alla provvigione.


Il processo di primo grado si concludeva con una sentenza di rigetto, a causa della mancanza di prova della iscrizione dell’attore nel ruolo dei mediatori, pur accertando, il tribunale, che comunque l’affare non si era concluso, senza che ciò fosse addebitabile al convenuto.


L’agente immobiliare proponeva appello depositando una registrazione camerale relativa alla sua attività di mediatore ed eccepiva che tale iscrizione era stata contestata tardivamente, censurando in ogni caso che l’accettazione della proposta di acquisto fosse stata ritenuta tardiva.


La Corte di Appello, pertanto, riformava integralmente la sentenza di primo grado, accogliendo la domanda dell’agente immobiliare.


Il cliente, quindi, ricorreva per Cassazione per avere la Corte di appello ritenuto inammissibile, in quanto tardivamente proposta nella comparsa conclusionale in primo grado, l’eccezione di mancata prova dell’iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale, con violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., 1755 C.Cc. e 6 legge 39/89.


E’ interessante la pronuncia della Suprema Corte che ha sancito la rilevabilità di ufficio della mancata iscrizione del mediatore all’Albo Professionale presso la Camera di Commercio con tutte le conseguenze che ne derivano.


L’obbligo legislativo (legge 39/1989) di iscrizione del mediatore nei ruoli tenuti presso le camere di commercio discende da norma imperativa, non derogabile dalla volontà delle parti ed il contratto di mediazione stipulato in assenza di tale requisito è affetto da nullità che, in quanto tale, sul piano processuale, è rilevabile d’ufficio da parte del giudice (così, Cass. 17478/2020 secondo cui l'eccezione di nullità del contratto di mediazione per difetto di iscrizione è eccezione in senso lato, quindi, non soggetta al divieto di ius novorum in appello ex art. 345 c.p.c.).


Ciò è confermato dall’ art. 8 l. 39/1989, che assoggetta a pesante sanzione amministrativa chi eserciti attività di mediazione senza essere iscritto nel relativo ruolo, dall'art. 6, co. 1 l. 39/1989, ove si dispone che abbiano «diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli».


Sotto il profilo squisitamente processuale, ciò comporta che, rispetto al diritto alla provvigione, l’iscrizione del mediatore nei registri tenuti presso le camere di commercio è fatto costitutivo rilevabile d’ufficio e implica anche che, in punto di prova, trattandosi di norma imperativa, non possa operare il principio di non contestazione ex art. 115, co. 1, ultima parte c.p.c.


Pertanto, da un lato, è onere del mediatore, ove proponga domanda di pagamento della provvigione, provare l’iscrizione presso la camera di commercio. Dall'altro lato, il difetto di prova di tale requisito è fonte di nullità del contratto di mediazione, rilevabile d’ufficio anche in appello, pure in assenza di contestazione ad opera della controparte.


In altri termini, poiché non opera il principio di non contestazione con riferimento all’iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale, l’eccezione di difetto di prova di tale requisito, pur proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, anche solo quale sollecitazione a verificare d’ufficio la sussistenza del requisito, va esaminata.


        La Cass.Civ. Sez.II 09.02.2023 n.4019, in relazione all’accoglimento del motivo di ricorso ha enunciato i seguenti principi di diritto: «Discendendo l’obbligo di iscrizione del mediatore nei ruoli tenuti presso le camere di commercio da norma imperativa, rispetto a tale requisito non opera il principio di non contestazione. Il contratto di mediazione stipulato in assenza di tale requisito è affetto da nullità rilevabile d’ufficio da parte del giudice e quindi non soggetta al divieto di ius novorum in appello».


        Ciò vuol dire che l’agente immobiliare che agisce per il pagamento della provvigione, è tenuto a dimostrare la iscrizione nel ruolo dell’albo dei mediatori, anche se non vi è contestazione da parte del cliente, poiché tale difetto di prova è sempre rilevabile d’ufficio, anche in appello.


 


7.     Provvigione del mediatore ed immobile da costruire.


Si vuole verificare se il diritto alla provvigione venga meno nel caso di vicende relative ad immobile da costruire.


L’art.2 del decreto legislativo 20.06.2005 n.122 prevede, relativamente ai contratti di trasferimento di immobili da costruire, l’obbligo del costruttore, a pena di nullità che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all'acquirente una fideiussione di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore riscuote.


        In una fattispecie, si è verificata la classica ipotesi dell’agente immobiliare che ha messo in relazione un costruttore con un potenziale acquirente.


        Con l’accettazione della proposta irrevocabile d’acquisto veniva concluso un contratto preliminare di vendita a seguito del quale il costruttore rilasciava la fideiussione ai sensi dell’art.2 del D.Lgs. n.122/2005.


        L’agente immobiliare, quindi, chiedeva il pagamento della provvigione spettante per l’avvenuta conclusione dell’affare che non veniva corrisposta dall’acquirente. Per tale motivo il mediatore proponeva ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale.


        L’acquirente proponeva opposizione al decreto ingiuntivo eccependo che la provvigione non spettasse al mediatore in considerazione della nullità del contratto di vendita atteso che la polizza fideiussoria era stata rilasciata da un soggetto non abilitato e senza la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale né erano state previste le co-garanzie da parte dell’impresa costruttrice.


        Il Giudice del Tribunale di Padova accoglieva l’opposizione e revocava, pertanto, il decreto ingiuntivo opposto, nulla spettando al mediatore, condannato anche alla rifusione delle spese di lite.


        Quest’ultimo proponeva impugnazione dinanzi alla Corte di Appello di Venezia che confermava la nullità della polizza fideiussoria.


        Le ragioni inficianti la validità della fideiussione risiedevano essenzialmente nella inidoneità dei soggetti che la avevano rilasciata, non rientranti tra quelli previsti dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n.122/2005 (banche o imprese esercenti le assicurazioni).


        E’ interessante, però, il principio che viene stabilito dalla Corte di Appello di Venezia nella sentenza n.337 resa il 13.02.2023 sostanzialmente affermando che la nullità della fideiussione, in virtù del collegamento negoziale con il contratto preliminare di compravendita, comporta anche la nullità di quest’ultimo con conseguente venir meno del diritto del mediatore a percepire la provvigione.


        Secondo la Corte, nel contratto di mediazione il diritto alla provvigione di cui all'art. 1755 C.C. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l'esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso.


E’ stata richiamata dalla Corte di merito anche la giurisprudenza di legittimità che stabilisce che “al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l'esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'articoli 2932 del Cc, per la risoluzione ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Ciò che inibisce la percezione della provvigione, a fronte della stipulazione del contratto - anche se meramente prodromico alla futura stipulazione del definitivo - è la invalidità assoluta dell'affare” (Cassazione civile sez. II, 22/06/2022, n.20132).


Colpendo la sanzione della nullità proprio l’atto negoziale stipulato dal costruttore e dall’acquirente, anche il contratto concluso dal promissario acquirente con il mediatore risulta irrimediabilmente nullo.


Escluso il diritto al compenso per l’attività di mediazione, l’appello proposto dall’agente immobiliare veniva rigettato con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese di lite anche del secondo grado di giudizio.


E’ opportuno, quindi, che il mediatore, per salvaguardare il diritto a percepire il compenso nei trasferimenti di immobili da costruire, vigili anche sulla conclusione del contratto preliminare di compravendita.


 


8.     Provvigione e responsabilità del mediatore per la sussistenza di formalità ostative sull’immobile.


La professionalizzazione del mediatore immobiliare non può prescindere da una maggiore qualificazione e competenza, essenziali per operare nel mercato.


La fattispecie in esame evidenzia problematiche di cui un agente immobiliare deve essere consapevole nel momento in cui si accinge a richiedere in via giudiziale il pagamento della provvigione per l’attività di mediazione svolta in una compravendita immobiliare.


La domanda di pagamento veniva introdotta dal mediatore immobiliare dinanzi al Giudice di Pace nei confronti del promissario acquirente di un immobile in favore del quale asseriva di aver svolto attività di mandato, consulenza e mediazione professionale, accompagnandolo a visitare l’immobile in più occasioni e redigendo, dopo le trattative intercorse, il preliminare di compravendita.


Senonchè, il promissario acquirente, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda negando di aver conferito incarico, eccependo in ogni caso la prescrizione ai sensi degli artt. 1755 e 2950 C.C. ed, in via riconvenzionale, nel caso in cui fosse accertata l’esistenza di un contratto di mediazione, domandava che fosse dichiarata la violazione degli obblighi di cui all’art.1759 C.C. per non aver reso noto, l’agente immobiliare, la iscrizione di ipoteche non estinte sull’immobile ed, infine, chiedeva fosse accertato l’inadempimento con condanna al risarcimento dei danni.


Il Giudice di Pace rigettava entrambe le domande.


Il mediatore, quindi, proponeva appello dinanzi al Tribunale di Trento reiterando le argomentazioni del primo grado, il promissario acquirente resistenza in giudizio proponendo, in via incidentale, le eccezioni e conclusioni già svolte.


Il Tribunale di Trento, pur ritenendo l’efficacia interruttiva della comunicazione inviata dal mediatore ai fini della prescrizione che, quindi, non era maturata, rigettava l’appello sotto un altro profilo.


Sussunta la fattispecie di causa in quella della mediazione prevista dall’art.1754 C.C., il giudice di secondo grado riteneva non dovuta alcuna provvigione al mediatore, perché pur avendo assunto anche l’incarico di redigere il contratto preliminare, era emerso che l’immobile era gravato da ipoteca, ancora iscritta e quindi né estinta né cancellata.


        Il mediatore era costretto a proporre ricorso per Cassazione.


        Eccepiva la falsa applicazione delle norme di legge (artt. 1710, 1759, 2878 C.C., nonché dell’art. 1477, comma 3, C.C., dell’art.6 d.lgs. 192/2005; dell’art. 13 d.lgs. 28/2011), lamentando che non rientrerebbe tra gli obblighi del mediatore quello di accertare e comunicare al promesso acquirente l’esistenza di ipoteche gravanti sull’immobile oggetto di mediazione.


        La corte di legittimità riteneva inammissibile ex. art. 360-bis (cfr. Cass. Sez. Un.7155/2017) il secondo motivo.


        Ai sensi dell’art.360 bis n.1 c.p.c., quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione l’esame di motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, il ricorso è inammissibile.


Costituisce, infatti, principio consolidato che il mediatore - tanto nell'ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell'ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica) - ha, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, C.C., l'obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, nel cui ambito è incluso l'obbligo specifico di riferire alle parti le circostanze dell'affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza da lui ordinariamente esigibile, includendosi in queste ultime, nel caso di mediazione immobiliare, le informazioni sull'esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull'immobile oggetto della trattativa, come quella relativa all'iscrizione precedente di ipoteca (Cass. n. 27482/2019; id.965/2019; id.16382/2009; id.4126/2001).


Infine, il ricorrente eccepiva un terzo motivo di gravame per violazione o falsa applicazione dell’art.2697 C.C., lamentando che il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto l’agente immobiliare gravata dell’onere di provare l’estinzione dell’ipoteca sull’immobile oggetto di mediazione.


Anche questo motivo risultava infondato in quanto spettava al mediatore provare l’estinzione dell’ipoteca, perché così avrebbe provato di aver correttamente adempiuto agli obblighi informativi ex art. 1759 C.C..


Con la sentenza n.20774/2022 della Sez.II della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per Cassazione proposto dal mediatore con condanna alle spese di lite.


Si consolida, quindi, l’orientamento che pone a carico del mediatore precisi obblighi informativi attraverso una interpretazione estensiva dell’art. 1759 C.C..


Esaminando il caso di specie, si può tranquillamente affermare che il mediatore è responsabile per aver omesso di indicare la esistenza dell’iscrizione ipotecaria (e vale per ogni qualsivoglia formalità ostativa) e, nel caso in cui la rileva e ne informa la parte promissaria acquirente asserendo che l’ipoteca, seppur iscritta, è estinta, deve fornire prova della estinzione ovvero informare circa la pratica di cancellazione eseguita o ancora da eseguire.


 


9.     Provvigione in caso di affidamento di incarico senza esclusiva a più mediatori.


La professionalità degli agenti immobiliari dovrebbe lasciare poco spazio a condotte equivoche, sintomatiche di rapporti poco chiari con i clienti che possono compromettere il buon esito dell’affare e la maturazione del compenso provvigionale.


Il proprietario di un appartamento si era rivolto a due diversi mediatori conferendo incarico a ciascuno, verbalmente e non in via esclusiva, di procurare la vendita dello stesso immobile.


Il primo mediatore faceva visionare l’immobile ad un potenziale acquirente cui consegnava anche la scheda catastale dello stesso.


Il medesimo potenziale acquirente, qualche giorno dopo, contattava il secondo mediatore con il quale visitava nuovamente l’appartamento ed in seguito, presi i contatti con il promittente venditore, stipulava il contratto preliminare di compravendita obbligandosi al pagamento della provvigione.


Il primo mediatore veniva a conoscenza della avvenuta conclusione dell’affare e, assumendo di aver svolto attività per aver messo in contatto le parti, reclamava il diritto alla provvigione che, invero, non era stata concordata nell’ammontare.


Intraprendeva il procedimento di negoziazione assistita a seguito del quale sottoscriveva un atto di transazione con il solo venditore pattuendo il compenso che veniva liquidato previo rilascio di quietanza.


A questo punto il primo mediatore agiva dinanzi al Tribunale nei confronti dell’acquirente al quale chiedeva il pagamento della provvigione.


Il Tribunale accertava che effettivamente il primo mediatore aveva svolto attività su incarico del venditore limitandosi, però, a far visionare l’appartamento ai potenziali acquirenti con consegna della scheda catastale.


Il Giudice richiamava la giurisprudenza di legittimità in merito alle attività del mediatore idonee alla conclusione dell’affare ed ai fini della maturazione del compenso.


Secondo la Suprema Corte, “il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, poiché è sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata” (Cass. n. 7029/21; Cass. n. 869 del 2018; Cass. n. 25851 del 2014). Ed ancora “al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato” (Cass. n. 30083/2019).


Secondo il Tribunale, alcuna prova era stata fornita per ritenere che l’affare tra le parti si fosse concluso in ragione dell’intervento dell’attore.


E’, infatti, da escludersi il diritto alla provvigione quando il mediatore non ha favorito alcuna relazione o messa in contatto tra le parti, né ha avviato alcuna trattativa, ma ha soltanto agevolato la visione dell’immobile da parte dei potenziali acquirenti (v. Cass. 16.9.2013 n. 21095).


Nel caso in oggetto la conclusione dell’affare si era perfezionata indipendentemente dall’intervento dell’attore, la cui attività si era esclusivamente limitata a far visionare l’immobile senza che questi mettesse in contatto le parti e avviasse alcuna trattativa tra le stesse.


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